Raccolti i dischi di alluminio, i petardi esplosi e le bottigliette d’acqua in via Molise, sede del Ministero dello Sviluppo economico, anche il frastuono dei caschi da lavoro dei lavoratori Alcoa lascia la capitale. Le speranze riposte nel cruciale incontro del 10 settembre con governo e sindacati si disperdono come la nebbia dei fumogeni accesi davanti ai cordoni di polizia in tenuta antisommossa, mentre la rabbia gridata con forza dagli operai del Sulcis tenta in ogni modo di non trasformarsi in pura rassegnazione. Loro non si fermano, fanno sapere. Protesteranno anche ogni giorno, se necessario. Eppure, dietro agli striscioni di protesta e al fragore delle bombe carta, si nasconde la solita, drammatica domanda: lo stabilimento Alcoa di Portovesme può davvero essere salvato? I negoziati con Klesh e Glencore, tra annunci e rapide smentite, faticano ad assumere una concretezza capace di tranquillizzare tutti i soggetti coinvolti, mentre il governo ribadisce che mai e poi mai terrà in piedi un sito improduttivo. IlSussidiario.net fa il punto dell’attuale situazione insieme a Giovanni Solinas, ordinario di Economia dei distretti industriali presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.
Professore, quali sono gli aspetti principali da considerare quando si parla di un possibile salvataggio degli impianti Alcoa?
Innanzitutto quello riguardante la sostenibilità economica e i costi sociali. E’ ormai ovvio che Alcoa, fino ad oggi, ha potuto operare esclusivamente sulla base dell’abbattimento delle tariffe dell’energia concordate con il governo. Molto meno ovvio è invece quanto questo sia sostenibile nel medio termine.
Come mai?
Perché a tutt’oggi il governo afferma con convinzione che le stesse condizioni potranno essere garantite ai nuovi acquirenti, ma nessuno può davvero escludere che un giorno non si possa cadere in un discutibile procedimento, fino ad oggi legittimo, all’interno del quadro comunitario. Se questo dovesse accadere, le condizioni di redditività di Alcoa, visti i costi dell’energia in Italia, non sarebbero affatto garantite. Oltre a ciò, come dicevo, è necessario considerare il costo sociale.
Si spieghi meglio.
L’attuale condizione della Sardegna, come anche quella del Sulcis, sono realmente drammatiche, come ci viene confermato anche dalle recenti vicende Alcoa, Carbosulcis ed Euroalluminia. A seguito dei 15 anni di tariffe agevolate concordate con il governo, è stato stimato che i contribuenti abbiano pagato ogni posto di lavoro circa 200 mila euro all’anno. Se questa cifra dovesse essere corretta, è evidente che una frazione di essa potrebbe essere utilizzata per politiche attive e ammortizzatori sociali per i lavoratori coinvolti nelle diverse vertenze industriali in atto in Sardegna.
I lavoratori si stanno però battendo proprio per evitare un simile scenario…
Certo, e ovviamente nessuno potrebbe comunicare loro con una semplice stretta di mano che l’azienda chiude definitivamente i battenti ma che, nonostante questo, verranno garantiti gli ammortizzatori sociali. Il costo sociale e quello per ogni famiglia coinvolta è certamente rilevante, ed è proprio in questo caso che emerge palese la fragilità della proposta politica, sia da parte del governo nazionale che di quello sardo. Qualunque proposta che non abbia un livello credibile di sostenibilità e di rilancio sul mercato non potrà mai rivelarsi davvero utile, quindi è ovvio che è quanto mai necessario riuscire a presentare proposte che siano più articolate rispetto a quelle fatte fino ad ora.
Come giudica l’interessamento da parte di Klesh e Glencore?
Questa è un’ulteriore via su cui è necessario fare molta attenzione. Bisogna innanzitutto capire se davvero ci troviamo di fronte a offerte concrete, visto che anche il “gigante” svizzero Glencore ha avuto negli ultimi esercizi di profittabilità una perdita di assoluto rilievo. Per questo è importante fermarsi a riflettere e capire cosa è stato presentato sul tavolo della trattativa: si tratta di un concreto piano industriale oppure di un progetto che gioca sui mercati europei e sull’indebolimento di Alcoa?
Cosa intende?
Dico che potrebbe esserci l’obiettivo di assicurarsi lo stabilimento per acquisire una capacità produttiva, per poi però toglierla dal mercato subito dopo. Un soggetto terzo potrebbe dunque prima acquisire l’impianto e poi chiuderlo a tempo debito risolvendo così un problema di concorrenza all’interno di un meccanismo oligopolistico molto complicato e su cui successivamente vi è un concorrente in meno. E’ ovvio che uno scenario del genere per i sardi rappresenterebbe l’ennesima e pesantissima turlupinatura.
Di certo non è immaginabile pensare che il caso Alcoa possa far ridurre in tempi brevi il costo dell’energia in Italia, non crede?
La vicenda Alcoa dovrà senza dubbio portare alla luce questo tema, oggi più che mai centrale, ma è del tutto evidente che un qualunque abbattimento strutturale dei costi dell’energia in Italia richiederebbe tempi decisamente non compatibili con i problemi attuali dell’impianto sardo.
Le faccio un’ultima domanda secca: alla luce di quanto detto sinora, lo stabilimento Alcoa può essere davvero salvato oppure tutto ciò che può essere fatto è di natura assistenziale per i lavoratori coinvolti?
Temo che ad oggi un piano industriale valido e un’ipotesi credibile di rilancio industriale, per quanto riguarda gli impianti Alcoa di Portovesme, non esistano nella maniera più assoluta.
(Claudio Perlini)