Da anni ci dicono che l’Italia non è competitiva, superata nelle varie classifiche dall’ormai famoso Botswana. E in ogni occasione le polemiche sulle misurazioni e i dati riportati non sono mancate. Alla fine dell’anno, però, anche noi avremo il nostro “Rapporto sulla competitività”. Grazie al lavoro del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) e dell’Istituto nazionale di statistica (Istat) l’Italia recupera, e forse supera, dal punto di vista della misurazione, i “colleghi” europei.



A dicembre, come ha ricordato il Presidente dell’Istat in occasione della presentazione del IX censimento sulle Imprese e il non-profit, verrà presentato il “Primo Rapporto sul benessere in Italia” che consegnerà ai decisori politici un quadro completo dello “stato di salute” del nostro Paese, comparabile con altri equivalenti rapporti, come quello del World economic forum. Insomma, una serie di dati su tematiche trasversali: si va dal tasso di furti in abitazione alla disponibilità di verde urbano, alle emissioni di CO2 e altri gas clima alteranti, alla propensione alla brevettazione delle imprese, alla ricchezza netta media pro-capite, allo stato fisico e psicologico degli individui.



Dunque, un rapporto sulla competitività, quantitativa e qualitativa, della nostra nazione. E così in nome del noto principio per cui “il cosa si fa” (le politiche per esempio) dipende dal “cosa si misura”, il Rapporto che verrà prodotto sarà un fondamentale contributo per orientare la bussola dei decisori politici, soprattutto alla vigilia della prossime elezioni, e un utile strumento di valutazione per chi dovrà recarsi alle urne, esprimendo la propria preferenza per un programma elettorale o per un altro.

Proprio in questi giorni, sia il World economic forum (Wef), la fondazione svizzera celebre per l’organizzazione degli incontri che riuniscono a Davos ogni anno il gotha politico ed economico mondiale, sia l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, hanno richiamato l’attenzione dell’Italia e dei Paesi del Sud Europa sul tema della competitività. Il Wef ha pubblicato la sua classifica annuale sulla competitività dei Paesi del mondo evidenziando, dopo aver valutato una serie di parametri tra i quali la bontà delle infrastrutture, della capacità d’innovazione, della cooperazione nelle relazioni sindacali, degli investimenti in ricerca e sviluppo, dei bilanci pubblici, della qualità della concorrenza, della collaborazione tra università e industrie, dell’efficienza istituzionale, che lo scarto di competitività tra i Paesi del Nord e del Sud Europa cresce, in favore dei primi.



L’Ocse, dopo aver corretto al ribasso le sue stime per il Pil italiano nel 2012, prevedendo un calo del 2,4%, ha confermato la carenza di misure per rilanciare la competitività. Dice infatti il capo economista Ocse Pier Carlo Padoan: “Alcuni Paesi, come l’Italia, che stanno conoscendo degli aggiustamenti, non hanno fatto ancora abbastanza per ristabilire la competitività”, sottolineando che la “mancanza di competitività accumulata nel tempo” è uno dei principali problemi dei Paesi Sud Eurozona, fonte di squilibrio. Anche il nostro Istituto nazionale di statistica, proprio l’altro giorno, ha rivisto la stima sul Pil, registrando un calo del 2,6% su base annua.

Un dato questo che colloca l’Italia dietro a tutte le grandi economie del pianeta. Insomma, nella top ten del Wef sei nazioni su dieci sono del Nord Europa (e tra queste la Germania si posiziona al sesto posto), mentre la Spagna, la Grecia, passando per l’Italia e il Portogallo, si posizionano tra la 36esima e la 96esima posizione. Klaus Schwab, direttore esecutivo del Wef, ha commentato questa classifica affermando che proprio queste profonde discrepanze nella competitività tra regioni, “specialmente in Europa”, sono l’origine “della profonda turbolenza che stiamo vivendo oggi”. E, proseguendo, ha esortato i governi “ad agire con decisione attraverso l’adozione di misure a lungo termine per migliorare la competitività e riportare il mondo su un percorso di crescita sostenibile”.

In Italia, il tema della competitività è ormai da anni al centro delle agende dei Governi che si sono susseguiti. E anche in questi giorni è ripreso un confronto serrato che vede coinvolti il Governo, il Parlamento e le Parti sociali. Si discute di come recuperare il gap di competitività accumulato, facendo leva su di un recupero in termini di incremento della produttività. Ma ancor prima di prescrivere una cura per il malato, ciò che appare importante individuare è il quadro clinico generale, cercando di ricavarne indicazioni precise e comparabili con il contesto generale nel quale ci si trova.

È proprio su questo punto che il Wef insiste di più. È su questo che stanno lavorando da diversi anni Cnel e Istat con il Bes. E così, in un operoso silenzio, quest’anno la fondazione Wef ha presentato per la prima volta il Sustainability-Adjusted Global competitiveness index (Gci), misurando con questo l’insieme delle istituzioni, delle politiche e dei fattori che permettono a una nazione di restare produttiva nel lungo termine, garantendo nel contempo la sostenibilità sociale e ambientale”. Questi ultimi due pilastri introdotti dal nuovo indice, sono stati declinati in 20 diverse valutazioni, dalla qualità dell’ambiente naturale alla disuguaglianza nella distribuzione dei redditi nella popolazione. La struttura del Gci è dunque molto simile a quella del Bes.

Forse questa volta possiamo dire di avere tutte le carte in regola per indagare, al pari dei competitors internazionali, i limiti e i punti di forza del nostro sistema Paese. E magari il Governo che si insedierà nel 2013 avrà la possibilità di leggere con occhi nuovi lo scenario che gli si prospetterà, usando i nuovi indicatori del benessere equo e sostenibile come un binocolo che consenta di scovare nuove strade per lo sviluppo del Paese.