La recessione si prolunga e la ripresa slitta alla prossima primavera. Il Centro Studi di Confindustria conferma la stima sul Pil 2012, ma peggiora la previsione sul prossimo anno. Stando ai dati pubblicati recentemente, quest’anno il Pil subirà una flessione del 2,4% (come annunciato a giugno), mentre nel 2013 è previsto un calo dello 0,6%, contro lo 0,3% precedente. Allarme anche per i consumi procapite, che nel 2012 faranno registrare “la flessione più grave del dopoguerra (-3,6%)”, mentre nel 2013 “torneranno sui livelli del 1997”. IlSussidiario.net ha chiesto un commento a Luigino Bruni, docente di Economia politica all’Università Milano-Bicocca, il quale si dice scettico anche rispetto a un’eventuale ripresa nel corso del prossimo anno.



Professore, come giudica questi dati?

Quanto emerge dall’analisi di Confindustria non mi stupisce affatto. Negli ultimi mesi, ogni volta che veniva annunciata una ripresa del Pil italiano nel corso del 2013, ho sempre sostenuto che questa fosse un’ipotesi improbabile.

Come mai?

Come può la crescita ripartire dalla prossima primavera? Recenti dati pubblicati dall’Economist hanno previsto nel secondo semestre del 2013 una decrescita di quasi il 2% per il nostro Paese. Quindi mi chiedo: da dove dovrebbe ripartire l’Italia? Di fronte ai dati negativi che ogni giorno ci troviamo a commentare, quali sono i settori economici che dovrebbero permetterci di intraprendere la strada della ripresa? Personalmente vedo ancora un lungo periodo di difficoltà per il nostro Paese, e non parlo di un paio d’anni, ma almeno di cinque.



Qual è il dato che considera più preoccupante?

Innanzitutto quello riguardante la sempre più forte disuguaglianza nella distribuzione del reddito. Non si tratta di un problema solamente sociale, ma economico: un Paese in cui è presente un tale andamento, dove i ricchi sono sempre più ricchi e il ceto medio tende a impoverirsi giorno dopo giorno, non potrà mai crescere veramente. Troppe persone continuano ad approfittare della crisi per arricchirsi, mentre le famiglie vengono impoverite sempre di più da nuove tasse, rincari, addizionali e così via. Se non invertiamo al più presto la rotta, tassando maggiormente i patrimoni e meno il lavoro, aumenteremo ancora di più questa diseguaglianza e non rilanceremo mai l’economia. Per non parlare poi dei dati sulla disoccupazione.



Certo non rassicuranti…

No di certo, in particolare quelli riguardanti la disoccupazione giovanile che ha ormai raggiunto livelli realmente allarmanti. Escludere un giovane dal mondo del lavoro non significa danneggiare solamente lui, ma tutta l’economia e le imprese italiane, a cui ovviamente manca la risorsa fondamentale per ripartire. Paesi come il nostro o come la Spagna, che lasciano fuori percentuali così alte di giovani, sono Paesi che non hanno alcun futuro.

 

Su cosa puntare dunque?

 

Credo che l’Italia debba puntare sulle importanti risorse di sempre, come la cultura, l’arte e tutti quei preziosi beni che l’hanno resa grande nel tempo. Esistono luoghi che, se tolti agli speculatori e affidati ai soggetti adeguati, sono in grado di creare non solo turismo ma anche migliaia di posti di lavoro. Prima di vendere il Colosseo o la Fontana di Trevi, affidiamo alle cure di cooperative sociali le migliaia di immobili vuoti di proprietà dello Stato e facciamoli diventare strutture culturali, turistiche e altro ancora.

 

Come commenta infine l’allarme consumi lanciato da Confindustria?

 

E’ certamente uno dei tanti problemi, ma in questo caso è necessario fare una precisazione. E’ vero che nel breve periodo i consumi si rivelano importanti, ma non dimentichiamo che la crisi attuale è nata anche da un consumo eccessivo e portato avanti nel peggiore dei modi. Da un certo punto di vista, quindi, il consumo rappresenta la malattia, non la terapia, proprio perché in passato abbiamo consumato troppo e male. Se questa crisi aiutasse a riscoprire una sobrietà e un consumo non più basso, ma diverso, allora potrebbe davvero essere considerata una vera opportunità.

 

(Claudio Perlini)