Le segherie, se vogliono sopravvivere alla recessione in atto senza perdere il passo coi tempi, non possono che diversificare la produzione fino a reinventarsi come vere e proprie botteghe di artigiani del legno. È quello che è successo alla Saviane Industria Legnami che, dopo decenni spesi a tagliare tavolame e moralame, ha dovuto parzialmente riconvertire la sua produzione indirizzandola sia sull’imballaggio, sia sulla travatura e carpenteria per tetti in legno. Spingendosi fino alla produzione di case a telaio in legno. Tetti e case che realizza in joint venture con un’impresa edile e uno studio di ingegneri. A raccontare a Ilsussidiario.net  la storia della Saviane è Luciano Saviane, figlio di Giovanni, uno dei tre fratelli (gli altri due sono Santo e Vittorio) che, sostenuti dal padre Pompeo, hanno creato nel 1945 una realtà che ancora oggi, non solo resiste ai morsi della crisi, ma cresce e non smette di innovare. L’azienda dei Fratelli Saviane è a Pous (o Pos, pozzo in veneto) d’Alpago nella conca dell’Alpago. Pous, l’unico comune parzialmente montano (su 69 comuni montani) della provincia di Belluno, è meta assai gradita a chi pratica il parapendio o il deltaplano. I costanti venti pomeridiani sul lago di Santa Croce, generati dalle correnti che si originano sul Monte Dolada, infatti, ne fanno un piccolo paradiso per gli amanti degli sport d’aria. Ma l’area è anche ricca di boschi di abete bianco e larici, gli alberi con cui da sempre lavorano i fratelli Saviane.



Come ha iniziato a lavorare in segheria?

Facendo la gavetta. Da ragazzino studiavo per diventare geometra, ma durante l’estate andavo sempre in bosco per aiutare nei lavori dell’azienda. Non facevo il lavoro del boscaiolo che è abbastanza fisico, però collaboravo in famiglia cercando le attrezzature, facendo le spese e altro ancora. Poi c’è stato il terremoto del Friuli che è stato molto significativo per noi.



Perché?

Perché è lì che abbiamo deciso di passare dalla classica segheria alla carpenteria. Mi ricordo che all’epoca io andavo a Tarvisio tutti i giorni con l’autotreno per caricare del legno più pregiato, più valido del nostro. E mi fermavo per pranzo nelle zone colpite del terremoto dove incontravo spesso operai che lavoravano nell’edilizia per la ristrutturazione delle case. Dopo un po’ che mi vedevano con un autotreno carico di tronchi mi chiesero dove portavo il legname. E io gli risposi che lo portavo in segheria. Fino a che qualcuno iniziò a chiedermi se non potessi portarlo anche a loro.



E lei cosa disse?

“Certo che ve lo porto”, ho detto. A pranzo facevo gli ordini e dopo una settimana portavo loro il legname e poi proseguivo per fare il mio carico. Allora ho detto a mio padre che era meglio che prendessimo un autista per l’autotreno e che io mi comprassi una macchina per andare nei cantieri. Inizialmente non era convinto: “Non è lavoro per noi, è roba per gli edili” diceva. Ma quando gli spiegai che noi potevamo farlo a costi minori si è convinto e siamo partiti.

Ci parli della segheria.

La segheria esiste dal 1945 e per un po’ di anni è andata avanti lavorando su tavolame e moralame vari. Ma, con l’esperienza della ricostruzione dopo il terremoto del Friuli, per via della grande richiesta di travatura e carpenteria per tetti in legno, ci siamo convertiti una prima volta. Poi, dal 2008 con la crisi dell’edilizia che ha colpito anche la nostra attività, abbiamo osservato che c’era una possibilità di mercato nelle ditte di imballaggio. E allora abbiamo cambiato una seconda volta, cercando materiale di minor valore da poter utilizzare per gli imballaggi. Oggi forniamo grosse ditte di imballaggio della zona. Ma non abbiamo smesso di produrre né il tavolame, né il materiale di carpenteria per i tetti in legno. E negli ultimi due anni abbiamo anche cominciato a produrre case a telaio in legno in collaborazione con un’impresa edile e uno studio di ingegneria.

Siete stati capaci di cambiare, dunque.

Oggi la classica segheria che segava il legname per produrre tavolame listellato da mettere a essiccare per poi, una volta stagionato, venderlo quando si presentava un acquirente non esiste più. Oggi si lavora su commessa, si produce materiale su richiesta. Altrimenti non ci sono prospettive. Noi abbiamo aumentato questo tipo di produzione e siamo anche cresciuti come numero di lavori, fatturato e assunti: oggi abbiamo 18 dipendenti.

 

Dopo quasi 70 anni come è cambiato il vostro modo di lavorare?

 

Il cambiamento principale è l’evoluzione tecnologica: una volta le macchine a controllo numerico erano solo per il settore meccanico. Oggi si usano anche per il legno, specialmente nella carpenteria. Questo significa che bisogna sempre fare investimenti per stare al passo coi tempi.

 

Sono in tanti che hanno chiuso?

 

Non è più tempo per la segheria tradizionale. Molti si sono spostati nella carpenteria ma anche l’edilizia è in crisi e qualcuno ha dovuto chiudere. A noi conforta il mercato dell’imballaggio industriale che lavora per aziende che producono export, l’unico settore non in crisi.

 

E il governo cosa fa?

 

Ho l’amaro in bocca perché i nostri politici non hanno mai tenuto in considerazione il legno. Nessun tipo di incentivo. Pensi che gli austriaci vengono qui a comprare i tronchi, li lavorano da loro e poi li rivendono a noi. Sono loro a dettare il prezzo. E come se non bastasse siamo circondati: ci sono anche il Trentino e il Friuli che godono delle agevolazioni per il fatto di essere regioni a statuto speciale. Noi vendiamo solo in Veneto e in Emilia.

 

Quali sono gli ostacoli maggiori che impediscono di competere ad armi pari?

 

Il primo è il costo della manodopera che è eccessivo. C’è la crisi, è vero, ma le ditte non è che chiudono, semplicemente delocalizzano dove la manodopera costa meno. Poi ci sono una serie di oneri e costi impropri che si vanno a riflettere sul costo del prodotto da commercializzare.

 

Quali?

Senza parlare dell’imposizione fiscale, ci sono oneri come il costo dell’energia elettrica e quello del gasolio e della benzina. Poi c’è troppa burocrazia in Italia. È inutile nascondersi dietro un dito. È ingiusto dover spendere sempre 40/50mila euro per adeguarsi alle normative antincendio. Va bene la sicurezza, ma in certi casi ci vuole anche un po’ di buon senso. Se i nostri politici non si rimboccano le maniche e non ci danno una mano andiamo a catafascio.

 

Tutto qua?

 

No. Dell’incremento annuo delle foreste si sfrutta solo il 40%. È un paradosso. Va bene ricostruire le foreste. Ma quel 60% che ogni anno non viene tagliato si incrementa sempre più. E un bosco di alberi vecchi non fa bene all’ambiente circostante. Inoltre abbiamo legno non utilizzato salvo poi doverlo importare dall’Austria e dall’Est Europa.

 

(Matteo Rigamonti)