Alla fine, se si registra con i numeri e i dati la sofferenza delle famiglie e delle imprese, una ragione esiste e si fotografa anche nel settore del credito. Tra il novembre del 2011 e lo stesso mese del 2012, l’arco di tempo del “governo dei tecnici”, sono stati tagliati ben 50 miliardi di euro di credito alle famiglie e alle imprese. Le banche, sempre più avverse al rischio, sono più larghe nel concedere credito alla Pubblica amministrazione (cioè Stato, Regioni, Province e Comuni), che di certo non brilla nei tempi di pagamento dei suoi debiti. Secondo i dati che emergono, mentre sono tagliati i crediti alle famiglie per 50 miliardi di euro, sono al contrario aumentati quelli concessi alla Pubblica amministrazione per 3 miliardi di euro. Questo panorama sul credito lo fornisce il Centro Studi Unimpresa. Può essere riassunto in questo modo: “Su oltre 200 miliardi di euro presi un anno fa a un tasso di interesse molto basso (circa l’1%), le banche hanno innanzitutto sottoscritto titoli pubblici portando la loro presenza sino a 140 miliardi di euro, ma allo stesso tempo hanno ristretto le maglie del credito a famiglie e imprese, con una concessione di allargamento soltanto verso la Pubblica amministrazione”. Questi dati, uniti a tutti gli altri, che fotografano la situazione difficile di famiglie e imprese italiane, farà discutere e creerà indubbiamente polemiche nella campagna elettorale ormai aperta. Giuseppe Colangelo è professore ordinario di Economia Politica all’Università dell’Insubria e docente di Economia Applicata all’Integrazione Europea all’Università Cattolica di Milano. Uno studioso che sta guardando molto attentamente l’evolversi della crisi e l’impatto che produce a livello sociale.



Professor Colangelo, questo è un dato che, a prima vista, lascia perplessi. Perché proprio in questi giorni si sta parlando ampiamente delle sofferenze delle famiglie e delle imprese. Non incombe sulle famiglie e sulle imprese solo una pressione fiscale ormai al limite della tollerabilità, ma anche un restringimento delle maglie del credito da parte delle banche.



Occorre ragionare con freddezza. Le banche sono anche esse società per azioni e quindi sono orientate (lo devono) a fare dei profitti. Fanno dei calcoli precisi e in questo momento vogliono evitare rischi, soprattutto di fronte a una crescita dei crediti incagliati o problematici, alle insolvenze che hanno nei loro bilanci.

Ma prestare di più alla Pubblica amministrazione non è altrettanto rischioso, almeno per i tempi biblici di pagamento?

Guardi, ci saranno i tempi biblici, ma alla fine lo Stato paga. E’ senza dubbio più rischioso fare credito e famiglie e imprese, soprattutto alla piccola impresa, perché c’è il rischio concreto, in questa fase storica, di non essere pagati più.



Questa scelta è dovuta solo all’avversione al rischio delle banche?

Si possono fare facilmente dei calcoli e si possono trarre delle conclusioni. Le banche hanno preso dalla Bce 200 miliardi all’1% di interesse. Facendo credito alla Pubblica amministrazione, le banche guadagnano su un tasso del 3-4% e rinunciano al guadagno del 6-7% che otterrebbero se facessero credito alle famiglie e alle imprese. E’ evidente in tutto questo un’avversione al rischio più che evidente e anche una sorta di “tirare i remi in barca” dopo la bolla speculativa del 2007-2008.

Tutto questo non fa una bella impressione.

Posso dire che c’è un problema, che ha un effetto perverso sul sistema. E’ come un gatto che si morde la coda.

 

Ma come si può risolvere questo problema, quello della funzione delle banche, su cui si interrogano molti economisti, non solo italiani ed europei, ma anche americani. Sto parlando della separazione tra banche commerciali e banche d’investimento, sul ruolo della banca.

 

Non è affatto semplice risolverlo questo problema che indubbiamente esiste. E’ inevitabile che dipenda anche da una scelta politica, ma non è affatto semplice risolverlo. In tutti i casi non si può affrontare questo problema guardando solo alle banche. Oggi i problemi dono due e sono connessi. Da un lato c’è questo nodo delle banche e dall’altro c’è il crollo della domanda a livello globale. Un’azienda in queste condizioni si trova in grande difficoltà.

 

(Gianluigi Da Rold)