Se la maggiore parte degli indicatori economici del nostro Paese inducono tristezza, ce n’è uno che, inaspettatamente, descrive una situazione al di là delle più rosee aspettative: l’export italiano non è mai stato così alto dal 2002. Il 2012 ha chiuso con un surplus della bilancia commerciale di 8,8 miliardi grazie, soprattutto, a un aumento del valore delle esportazioni pari al 5% e a una diminuzione delle importazioni. C’è da sperare che il previsto calo delle esportazioni europee, sin qui in positivo (+3,%), e, in particolare, il calo di quelle tedesche (che, a novembre, hanno registrato una riduzione del 3,8% rispetto allo stesso mese del 2011) non incidano sulle performance italiane. Abbiamo chiesto a Bernardo Bertoldi, docente di creazione d’impresa alla Facoltà di Economia presso l’Università di Torino, quali prospettive si prefigurano.
A guardare i dati sull’occupazione, il Pil, la lentezza della giustizia e della burocrazia, l’imponente carico fiscale o l’insolvenza delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese non c’è da rallegrarsi. Eppure, le esportazioni aumentano. Com’è possibile?
Siccome gli imprenditori italiani sono bravi, e il mercato interno non va bene, si sono dati maggiormente da fare per vendere all’estero. Non è un caso che un po’ tutte le aziende hanno tra i loro obiettivi l’internazionalizzazione. Si tratta della reazione a un mercato interno in difficoltà.
Che i nostri imprenditori siano bravi è chiaro. E’ sufficiente, questo, per contrastare le suddette distorsioni?
Vede, il fatto è che se un imprenditore, per una qualche ragione, ha avuto successo in Italia, significa che è più temprato di quelli di qualunque altro Paese, tradizionalmente meno ostili all’imprenditoria. Una sorta di selezione naturale. Inoltre, dobbiamo tenere conto che se prima dell’introduzione dell’euro davamo impulso all’export attraverso la svalutazione, e se dalla sua introduzione non abbiamo più potuto farlo, negli ultimi 18 mesi il sistema ha dato impulso alla competitività seguendo un percorso alternativo: l’approvvigionamento di materie prime o di risorse umane si è rivelato più a buon mercato. In particolare, è stato possibile assumere personale qualificato, direttori del marketing, per esempio, pagandoli meno rispetto al passato.
Se le cose stanno così, vuole dire che se il sistema nel suo insieme funzionasse saremmo una superpotenza mondiale.
Probabilmente, se fossimo un Paese del genere, dove la burocrazia e la giustizia funzionano, vi fosse una tassazione adeguata e via dicendo, non saremmo l’Italia. E, probabilmente, non avremmo la forza, l’originalità e l’ingegno che, attualmente, ci fanno sopravvivere alla crisi.
Per potenziare le esportazioni Monti ha suggerito di creare una export bank e di rilanciare ulteriormente l’Istituto del commercio estero. Cosa ne pensa?
Il fatto che Monti abbia premuto su questi fattori ha fatto sì che molti imprenditori avvertissero maggiore attenzione nei loro confronti e iniziassero ad avere più voglia di fare. L’Ice è uno strumento che ha funzionato e migliorarlo non può che essere un’operazione positiva. Sul fronte dell’export bank, non dimentichiamo che Intesa Sanpaolo e Unicredit, di fatto, hanno svolto un ruolo analogo negli ultimi tempi.
Contestualmente, l’export europeo sta lievemente calando. Dobbiamo preoccuparci?
Gran parte del contesto industriale sta patendo il calo dell’export rispetto al mercato interno europeo. E’ ovvio che quei paesi che esportano, prevalentemente, all’interno della zone euro risentano della crisi che ha colpito il Vecchio Continente. Chi, invece, vende i propri prodotti sui mercati internazionali, ove la crisi non ha attecchito, continua a esprimere performance positive in termini di esportazioni. E la nostra quota di export sul fronte internazionale è superiore a quella degli altri Paesi Ue.
Non crede che l’Europa, attraverso la Bce, farebbe bene a procedere con una svalutazione sostanziale dell’euro?
Credo che, per quanto possa sembrare una soluzione utile a breve termine, sul medio termine non risolverebbe il problema. La svalutazione rispetto al dollaro avviene stampando più euro. Non credo che la Bce e la Fed intendano procedere in questa direzione. I due banchieri centrali, infatti, stanno cercando di agire di concerto, e di non rompere l’equilibrio.
(Paolo Nessi)