Lo spread scende ai minimi storici, ma l’economia reale continua a essere in affanno. Ieri il differenziale Btp/Bund ha toccato quota 269. Dopo avere aperto a 275 punti base, la differenza di rendimento tra i titoli decennali di Italia e Germania nella mattinata è scesa ancora, per poi risalire nel pomeriggio. Il rendimento dei titoli decennali in Italia è sostanzialmente stabile al 4,27%. Un risultato che in parte è merito delle notizie che vengono dagli Stati Uniti, dove in dicembre sono stati creati 155mila nuovi posti di lavoro, superando le previsioni degli analisti. Ilsussidiario.net ha intervistato Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.



Quali saranno gli effetti della riduzione dello spread per imprese, credito, mercato immobiliare e privati cittadini?

La riduzione dello spread è una condizione necessaria ma non sufficiente per far ripartire l’economia. L’Europa non può pensare che tutto si aggiusti automaticamente. Nell’attuale fase in cui i consumatori da soli non hanno la forza per fare ripartire la domanda, occorrerebbe una ripartenza aiutata dallo Stato e dall’Ue attraverso investimenti infrastrutturali. Se questi ultimi non sono favoriti con dei project bond o con degli EuroUnionBond, o comunque con un rasserenamento dello scenario complessivo attraverso una parziale mutualizzazione dei debiti, si può ridurre lo spread quanto si vuole, ma alla fine l’economia continua a rimanere in recessione.



Eppure per Governo e Banca centrale tedesca la riduzione dello spread rappresenta una priorità…

La Germania è proprio la dimostrazione del fatto che anche con i tassi di interesse sotto zero, nel momento in cui l’export subisce una flessione l’intera economia nazionale si ferma. Il Pil tedesco sta crescendo a un ritmo dello 0,5% l’anno, e quindi ciò significa che i tassi bassi non sono sufficienti a fare ripartire l’economia. Occorre ricreare una serie di condizioni di fondo legate alle aspettative dei consumatori, dei soggetti economici e del contesto complessivo della domanda.

Vuole dire che la riduzione del differenziale Btp/Bund non comporta nessun beneficio?



No, la stabilizzazione dello spread sui livelli attuali, o magari la discesa a livelli più bassi, può portare dei vantaggi generalizzati per tutto il sistema economico. La Banca d’Italia ha dichiarato che, se l’attuale tendenza dovesse durare sull’arco dei prossimi due o tre anni, ciò renderebbe possibile una riduzione del costo degli interessi sul debito pubblico. Ciò contribuisce a migliorare la situazione del deficit di bilancio statale e ad avvicinare di più l’obiettivo di pareggio del bilancio e quindi di riduzione del debito. Ma nel breve-medio termine, gli effetti sull’economia reale della riduzione dello spread sono più difficili da immaginare.

 

Per quale motivo?

 

Se pure il costo degli interessi tende a diminuire, c’è comunque il problema di una domanda da parte del sistema produttivo, dei consumatori, degli acquirenti di immobili, che continua a essere troppo debole. Anche se migliorano le condizioni del credito, c’è comunque una difficoltà di fondo per le famiglie e le imprese a prefigurare nuovi consumi e investimenti, perché il quadro non è ancora del tutto rasserenato. I consumatori non spendono perché i redditi sono erosi dalla crisi e i disoccupati sono in aumento. Insomma, ci sono delle condizioni dell’economia che fanno sì che nonostante un rasserenamento sul fronte dei tassi di interesse, ciò non si traduca subito in una ripresa.

 

Quali settori sono più depressi?

 

Tanto la domanda di beni di consumo da parte delle famiglie, quanto quella di beni di investimento da parte delle imprese e di immobili nel settore edilizio continua a non crescere. Il quadro sulla carta favorisce l’economia, che nella realtà ha però dei problemi che non sono solo legati agli alti tassi di interesse, ma anche a una caduta delle aspettative e a una bassa fiducia dei consumatori. L’atteggiamento tanto delle famiglie quanto delle imprese è quindi caratterizzato dalla prudenza. Le aziende in grado di esportare investono, ma quelle che vendono in Italia non possono assolutamente farlo perché hanno di fronte a loro un mercato fermo. A prescindere quindi dalle condizioni del credito, sono poco propense già in partenza a fare nuovi investimenti.

 

(Pietro Vernizzi)