L’incertezza regna sovrana. Dove vada l’economia mondiale è molto difficile a dirsi. E questo perché mai come in questo momento la mia convinzione che essa, l’economia, dipenda dalla politica e dalla cultura, è così chiara. Si pensi che la nomina di Janet Yellen che dovrebbe essere la prima chair woman designata a capo della Federal Reserve è incerta perché se si leggono i giornali nordamericani incerta è la sua conferma da parte del Senato per una probabile opposizione repubblicana. E in effetti, mai come in questo momento, il pentimento di Vilfredo Pareto mi è venuto alla mente. Pentimento rispetto al fatto di aver creduto, in gioventù, ai principi espressi attraverso le teorie dell’ofelimità e del comportamento razionale degli esser umani. Ottantenne, uno dei più grandi pensatori della modernità, si rassegnò a dire a se stesso di avere errato: la maggior parte delle azioni umane erano irrazionali, di lì la distinzione degli umani medesimi tra volpi, leoni ecc. , tutto un bestiario che escludeva l’homo oeconomicus.
Del resto, se accadesse la tragedia della mancata nomina della Yellen, ciò non sarebbe che la conseguenza dell’affermarsi sempre più violento di comportamenti irrazionali di massa che la crisi economica determina in tutto il mondo. I neonazisti in Grecia, in Norvegia, i neofranchisti in Spagna, i grillini in Italia, con conseguenze devastanti sulle consolidate macchine delle subculture politiche. È ciò che accade negli Usa con il ricatto che il Tea party esercita sui Repubblicani in merito al tetto del debito, comodo obiettivo per impedire l’implementazione della riforma sanitaria di Obama che, in realtà, diminuirebbe e non aumenterebbe la colossale spesa sanitaria pubblica degli Stati Uniti, che è la più alta del mondo.
Del resto, queste irrazionalità sono il frutto dell’irrazionalità massima dilagante, quella che crede che il debito pubblico in un’economia aperta e finanziarizzata sia l’ostacolo decisivo alla crescita e che fissare tetti al debito statale sia un dovere imprescindibile. È la stessa logica suicida e totalmente (sembra un ossimoro) irrazionale che sta alla base del 3% dei trattati europei e dello Statuto della Bce. Certo che se la Yellen fosse confermata e la politica di Ben Bernanke ancora implementata, la crescita americana con la diminuzione della disoccupazione troverebbe un punto d’appoggio e rafforzerebbe i fattori non monetari di possibile crescita.
Mi ha colpito, ad esempio, leggere il report del London Metal Exchange da cui si desume che le aspettative dello sviluppo dell’industria dei metalli si vedono in crescita per un ampliamento della domanda. Ampliamento che viene ancora e soprattutto dalla Cina, perché gli analisti di quel sismografo fondamentale dell’economia mondiale che è il Lme ritengono che la Cina, nonostante tutto, manterrà il suo livello di crescita intorno al 7,5%. Sufficiente per superare le difficoltà dell’industria metallifera e anche di quella dell’alluminio, impegnata in un difficile confronto sui modelli di regolazione europei.
Su questo problema della regolazione ritornerò in seguito. Ora voglio esplicitare il grado crescente d’incertezza che circonda l’economia cinese. Esso promana direttamente dalla politica e in primo luogo direttamente dalle divisioni esistenti sin dentro lo Standing Committee del Politburo del partito comunista cinese. Il Partito, come è noto, ha fissato la soglia del 6-7% come limite della cosiddetta sicurezza per la coesione sociale, ritenendo che se si va sotto quel limite l’ordine sociale in Cina potrebbe non più essere mantenuto. Ma dove l’ordine non è già ora più mantenuto è nello stesso Partito comunista cinese. Nell’ultimo anno e mezzo ventidue dei trentun capi provinciali della polizia e quindi dell’intelligence sono stai trasferiti o rimossi dai loro ruoli. Il processo di Bo Xilai è stato la punta di un iceberg che ora sta riemergendo all’orizzonte. Prova ne sono le accuse che sono state mosse da Zhou-Yongkang, segretario del comitato legale e politico dello Standing Committee del Politburo che è sotto processo anch’egli. Ma la cosa importante è che la sua caduta in disgrazia ha trascinato con sé tutto il gruppo dirigente della potentissima PetroChina sotto investigazione dai mesi di luglio e agosto del corrente anno.
Naturalmente, anche tutta la famiglia di Zhou è sott’inchiesta e, come se non bastasse, questa lotta intensissima investe dal dicembre del 2012 i CEO dei più importanti gruppi industriali statali cinesi: l’Exibition and Travel Group, lo Star Cable, lo Langjiu Group, il Wison Engineering, il Chengdu Industry Investment Group, il Guoteng Group, il Jinlu Group, il Xingrong Group, il Zhongzu Investment Group. Ossia, se si escludono le banche, i centri nevralgici che consentono al partito di controllare tutta l’economia cinese. Un regime che ricorda quello descritto da Franz Neumann in Behemoth (Neumann palava del nazismo), ossia di un regime di dittatura terroristica e insieme di consenso di massa in cui le elites lottano furiosamente l’una contro l’altra (al posto delle SA di Rohm, ora ci sono i seguaci postmaoisti di Bo Xilai, che vanno sterminati). Il conflitto tra le elites è naturalmente su cosa e come fare in economia. Ma mentre questi lottano furiosamente, in un’economia semipianificata, la crescita non può durare.
Incertezza, quindi. Ma l’ incertezza è ancora più profonda nell’Eurozona. La vocazione eufemistica degli economisti liberali e liberisti è tale che chiamano crescita la prospettiva di superare il +1%! Ma quando poi dalla vocazione eufemistica si passa all’ignoranza le questioni diventano tragiche. Tutta l‘Eurozona, come ho già detto molte volte, sta morendo di eccesso non solo di rigore, ma anche di eccesso di regolamentazione che favorendo un’artificiale competizione e distruggendo asset oligopolistici fondamentali per la crescita ha bloccato ogni propensione agli investimenti. Ora la verità non giunge dagli economisti montalianamente laureati, ma dalle maggiori dieci grandi imprese energetiche europee, che lanciano un j’accuse contro la politica di regolamentazione europea che conduce alla chiusura di intere centrali e distrugge ogni regola di vera competitività tra fonti energetiche e imprese con il profluvio di sovvenzioni agli impianti di energia rinnovabile tecnologicamente immaturi.
A firmare il manifesto ci sono tutti: i cechi del Cez Group, gli svedesi del Vattenfall, gli olandesi di Gasterra, i tedeschi di E.On e di Rwe, i francesi di Gdf Suez, gli italiani Eni ed Enel. Gli unici assenti rilevanti sono i francesi di Edf. Ma tutto questo non fa che dire che è giunta l’ora della verità, certo una verità piena di incertezza. E di stupidità neoliberista, che come ho già ripetuto molte volte, si abbatte sull’Italia che ha un governo che sta deludendo anche i suoi più accesi sostenitori come me.
Certo, si è persa ogni speranza di aver dinanzi un comportamento governativo che non sia prono agli interessi estranei ai nostri interessi nazionali – quali che sia la nazionalità dell’azionista – di voler mantenere e rafforzare l’industria manifatturiera italiana. La prova del fuoco verrà se si scorporerà la rete di Telecom, non assegnandola ad altri che allo Stato italiano, e se si continuerà la pazzesca politica nei confronti di Alitalia, la cui alternativa è quella di trovargli un azionariato stabile, anche se questo fosse di proprietà pubblica o straniera, purché non volto a eliminare un concorrente. L’importante è non far fallire o eliminare Alitalia, ma conservare al nostro Paese un asset essenziale nell’intermobilità internazionale.
Veramente bisognerebbe avere il coraggio di usare la penna di Pareto, per fustigare coloro che ripetono invece le solite filastrocche che ci hanno condotto alla rovina. Ma io non ho questa superbia, perché, sin da piccolo, mi hanno insegnato a ricordare che la virtù penultima dell’umiltà deve moderare anche l’indignazione. In effetti, anche l’indignazione è un frutto dell’incertezza. Incertezza dinanzi ai cambiamenti possibili, atti a migliorare le cose e che invece rischiano di non realizzarsi.