L’economia italiana è ancora in fase di inversione dalla recessione alla ripresa e la seconda mostra di essere poca e lenta. Ma c’è una novità importante in relazione ai cinque anni passati: le tendenze del mercato internazionale e di quello italiano, anche se più lentamente, appaiono solidamente orientate verso il ritorno alla crescita, con probabilità decrescente di interruzioni. Quindi è credibile l’affermazione di Saccomanni che la crisi, sul piano generale, può dirsi finita. In Italia è stata talmente pesante – i 6 milioni rilevati dall’Istat tra disoccupati e persone che hanno rinunciato a cercare lavoro indicano un vero disastro economico – da colpire duramente il sistema di creazione della ricchezza sia sul piano tecnico che su quello della fiducia.



La priorità del rigore, poi, mantiene condizioni di politica fiscale che ostacolano la ripresa, questo il motivo principale per cui quest’ultima sarà poca e lenta. Infatti, correttamente, il mondo delle imprese chiede con insistenza al governo di tagliare spesa e tasse per stimolare una ripresa forte. Ma, date le ben note condizioni della politica, il governo difficilmente potrà farlo in tempi utili e nelle dimensioni che sarebbero necessarie. C’è il rischio che si vada avanti per mesi con gli attori economici che chiedono stimolazioni fiscali alle quali il governo risponde con misure insufficienti.



Come sbloccare tale situazione improduttiva? La politica e il governo non saranno in grado di farlo, al massimo assicurando una stabilità dell’esistente che però manterrà l’economia in stagnazione pur evitando situazioni catastrofiche. Quindi, per esclusione, tocca al mercato dare un impulso maggiore alla crescita. Possibile, chi e come?

Certamente è possibile. Un terzo degli italiani ha perso capacità di reddito e/o risparmio, ma i due terzi la hanno mantenuta. Se i secondi percepiscono che la crisi è finita e che possono tornare a spendere ciò rialzerà, molto e presto, i consumi interni. Le imprese con affari solo nel mercato interno sono nei guai, ma moltissime sono globalizzate e fanno ricavi più nel mondo che in Italia: queste sono in condizioni di investire e assumere di più, nonché di comprare capacità industriali che la crisi ha reso di basso costo. I capitali? La Bce li ha resi abbondanti per la parte sana e competente del sistema bancario.



In conclusione, dopo il disastro sono rimasti sufficienti risparmi, imprese robuste e banche competenti per rimettere in moto l’economia con azioni private senza aspettare che la politica si rimetta in ordine.

 

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