La globalizzazione ha invaso anche il mercato del caro estinto. Oggi, il 50% dei cofani mortuari venduti in Italia viene prodotto in Romania, Guatemala, Polonia, Albania, Indonesia, Vietnam e, ovviamente, Cina. Magari con già l’etichetta “made in Italy”. In quasi vent’anni le aziende produttrici si sono ridotte drasticamente: da 250 che erano negli anni ‘80 ne sono rimaste 50. Poi c’è il capitolo “dolente” della cremazione, che non ha solo limato i fatturati delle imprese ma sta mandando in default i servizi cimiteriali dei comuni italiani. Che corrono ai ripari mettendo tasse sulle ceneri conservate a casa o sulla dispersione. Di tutte queste cose ci parla in questa intervista Marco Ghirardotti, presidente di Assocofani, l’associazione dei produttori di cofani funebri di FederlegnoArredo.



Quante aziende operano nel vostro settore?

Non abbiamo dati precisi. Ci sono aziende che sono ancora iscritte alla Camera di Commercio come fabbricanti, ma in realtà sono diventati commercianti. Nel 1988, quando ho iniziato a fare questo lavoro, i fabbricanti di cofani funerari in Italia, tra grandi e piccoli, erano 250. Da un censimento che abbiamo fatto con FederlegnoArredo quelli “veri” oggi non superano i 50: sono una ventina le aziende strutturate e una trentina quelle a gestione familiare, con un organico inferiore ai 6-7 addetti.



Qual è il valore della produzione?

I dati Istat sulla mortalità fanno fede su quello che è il fabbisogno. Quelli dell’anno scorso dicono che siamo attorno ai 612mila decessi. Ma il 2012 è stato un anno particolare, che ha registrato un notevole incremento del numero dei decessi; in pratica si è verificato un trascinamento della mortalità dall’anno precedente – il 2011 – che è stato un anno altrettanto particolare perché il numero era calato a quota 520mila. In Italia il fabbisogno si è ormai assestato tra 480mila e 600mila. Mentre una volta di cofani mortuari se ne producevano anche 700mila, parte dei quali finivano sui mercati esteri.



Lavorate anche all’estero?

All’estero siamo considerati un’eccellenza anche in questo settore. Ad esempio, per fare i funerali di Yeltsin hanno preso una cassa di produzione italiana. Noi esportiamo in Russia e in Germania. Pensi che in tutta la Germania sono rimasti solo 2 costruttori: importano casse dalla Polonia, finite, al costo di un paio di scarpe. Un tempo una buona fetta della nostra produzione – circa 120mila pezzi – era destinata al mercato estero. Oggi invece, con la globalizzazione, quasi il 50% dei prodotti presenti sul mercato interno proviene dall’estero.

Da quali paesi?

Dalla Romania, che è la prima da cui importiamo, poi da Guatemala, Polonia, Albania e da paesi del sud-est asiatico, come Indonesia, Vietnam e, ovviamente, Cina. Come le dicevo il numero dei fabbricanti è diminuito e il fabbisogno è integrato dall’importazione.

Com’è andata Memoria Expo, la fiera triennale dedicata agli operatori del settore?

Abbiamo raccolto un buon successo. Sinceramente, visto il momento che sta attraversando la nostra economia, non ci aspettavamo un riscontro così forte Segno che anche gli operatori del settore si sono accorti che solo tramite la qualità del servizio e dei prodotti si può battere la concorrenza e mantenere margini sufficienti per sopravvivere alla crisi. Memoria Expo, quest’anno alla seconda edizione, è stata una scelta del mondo produttivo. Infatti, l’organizzazione è stata curata dagli stessi espositori, a differenza di altre fiere di settore dove invece l’organizzazione è gestita da società commerciali che lo fanno di professione. Memoria è una fiera a cadenza triennale, che vuole valorizzare i prodotti Italiani e intende sostenere un mercato che si sta impoverendo. I motivi sono diversi, alcuni di ordine economico, altri di carattere socio-culturale.

 

In che senso, scusi?

Rispetto a 30 anni fa è cambiata la sensibilità. Sono cambiate le famiglie; gli anziani sono spesso negli istituti e non più in casa, quindi anche il rapporto con loro si è allentato e anche l’età media si è alzata parecchio. Di conseguenza oggi un lutto spesso è meno sentito e le esequie sono di conseguenza tali.

 

Quanto incide la cremazione?

Negli ultimi anni c’è stato un forte incremento di questa pratica, soprattutto al nord e nei capoluoghi più grandi come Torino, Bologna e Milano, incremento dovuto più a motivi economici che culturali. Già psicologicamente, uno che deve acquistare una bara che va bruciata molto spesso chiede l’articolo più economico e accessori dello stesso tipo; in più con la cremazione manca la controcassa in zinco che viene utilizzata solo per la tumulazione. Anche la spesa cimiteriale è di molto ridimensionata. Ma l’incremento della cremazione sta creando grossi problemi anche ai comuni.

 

Che tipo di problemi?

I servizi cimiteriali di molti comuni dove c’è un forno crematorio nelle vicinanze, sono vicini al default. Dopo aver spinto sulla cremazione oggi i comuni si accorgono che su 100 estumulazioni che vengono fatte per concessioni scadute al cimitero arrivano solo 50 salme, le altre 50 sono andate al crematorio. Cinquanta loculi invenduti fanno mancare il gettito che permette ai comuni di sostenere i costi di gestione dei cimiteri: il custode, il giardiniere e così via. Infatti, di ampliamenti dei cimiteri oggi si parla pochissimo. Ci sono comuni, dove la cremazione è arrivata al 60%, che stanno valutando (qualcuno lo ha già fatto) di mettere una tassa sulla conservazione delle ceneri a casa o un’una tantum sulla dispersione, per sopperire al mancato gettito. Non le nascondo poi che spesso sulla cremazione i parenti del defunto compiono dei veri e propri abusi rispetto alle sue volontà.

 

Cioè?

Le spiego, una volta per essere cremati bisognava essere iscritti ad associazioni come la Socrem piuttosto che altre. Da un decennio a questa parte non è più necessaria la dichiarazione da vivo in cui si esprime la volontà di essere cremati, ma basta che il coniuge o i 2/3 dei figli (e se ce n’è uno solo basta quello), dichiarino che il defunto aveva espresso in vita la volontà di essere cremato. Spesso però questa è una scelta prettamente economica perché in realtà il defunto non si era mai espresso in quella direzione. Per questo parlo di abuso delle volontà. Come Assocofani stiamo cercando di mettere un po’ d’ordine in questa materia, anche perché la cremazione sta perdendo il suo valore concettuale e filosofico e sta diventando una vera e propria forma di smaltimento “funebre”.   

 

Quali altre difficoltà incontrate come produttori?

La concorrenza del prodotto estero. Alcune aziende con produzioni delocalizzate, oltre ad avvalersi di costi di manodopera di gran lunga inferiori ai nostri, producono cofani con marchi contraffatti o che inducono in inganno. Infatti, molto spesso il prodotto che arriva dall’estero non viene identificato come tale e riporta il timbro di quel commerciante Italiano o ex fabbricante che vende impunemente quell’articolo come se fosse di produzione locale. Si tratta di concorrenza sleale, oltre che di truffa ai danni del consumatore.

 

Cosa si può fare per ovviare a questa situazione?

Con FederlegnoArredo abbiamo elaborato una norma Uni – attualmente in fase di pubblicazione – che specifica esattamente come devono essere fatti i cofani mortuari in legno e le rispettive marchiature; è previsto anche l’obbligo di indicare sia la provenienza geografica che il numero seriale univoco del prodotto. Questo servirà sicuramente a mettere un po’ d’ordine nel nostro mercato. E magari, con l’aiuto di un bravo legislatore che trasformi una buona norma in legge, saremo un giorno tutti più tutelati, fabbricanti impresari e familiari del defunto.