La Gandelli Legnami, di Borgaro Torinese, nasce nel 1912 come azienda di abbattimento forestale. «Siamo boscaioli in origine», dice l’amministratore delegato Ferdinando Gandelli. Dopo la crisi del ’28, il nonno spostò l’impresa da Bergamo in Francia; «rientrò durante la Seconda guerra mondiale per fornire materia prima all’esercito». Il nonno avviò poi una piccola segheria «che con mio padre è stata potenziata. Poi sono arrivato io, quarta generazione, che ho ampliato il mercato a tutto quello che è l’edilizia. E dal 2006 abbiamo cominciato a fare case a struttura portante in legno». Nel 2008, invece, ha inizio l’avventura dell’internazionalizzazione, «sostanzialmente per far fronte alla crisi che si cominciava a sentire». Gandelli è appena rientrato dal Mozambico dove sta costruendo resort e residenze per le aziende che si stanno trasferendo laggiù dopo che l’Eni ha scoperto un grande giacimento di metano. In questa intervista ci racconta dell’esperienza africana e delle prospettive della sua azienda.



State puntando molto sull’estero, è così?

L’avventura dell’internazionalizzazione è iniziata nel 2008 per far fronte alla crisi che si cominciava a sentire. Così abbiamo preso a girare per il mondo, cercando nuovi posti per lavorare.

Da dove siete partiti?

Abbiamo cominciato dalla Svizzera dove, dopo anni di semina, stiamo facendo dei lavori adesso. Poi ci siamo rivolti a quei paesi dove spesso si verificano calamità naturali – sismi, inondazioni, uragani – fenomeni che provocano danni enormi e che nel giro di una notte lasciano migliaia di persone senza casa. In fase di ricostruzione le nostre case in legno hanno il vantaggio di essere pronte molto in fretta.



A quali paesi guardavate?

Ci siamo rivolti al Centro America dove tanti paesi hanno da sempre a che fare con questi problemi. E ci siamo ritrovati… in Mozambico.

Come ci siete arrivati?

Già un anno fa abbiamo fondato la Gandelli Mozambique, una società di diritto mozambicano, che è molto simile al nostro, avendo mutuato molto dalla normativa del Portogallo di cui è stata colonia per 450 anni.

Cosa state realizzando laggiù?

Eravamo partiti con l’idea di portare le nostre pareti innovative per costruire in fretta. Poi, stando lì abbiamo capito che bisognava fare un passo indietro perché la situazione era simile a quella dell’Italia agli albori dello sviluppo del secolo scorso.



E cosa avete fatto?

Abbiamo cambiato strategia, partendo con la tecnologia locale e, poco alla volta, stiamo introducendo alcuni elementi innovativi adattandoli a quella realtà. Stiamo costruendo 20 bungalow, con spa e reception, una specie di piccolo resort insomma, sull’isola di Mechanga, di fronte a Mocìmboa da Praia, a nord del Paese. In più…

 

In più?

Abbiamo acquisito aree per costruire case – in parte da vendere in parte da affittare – per una serie di aziende che si sta trasferendo là dopo che l’Eni ha scoperto un grande giacimento di metano di fronte alle coste del nord del Mozambico.

 

Come mai avete scelto di costituire una società di diritto locale?

È una scelta precisa che sta a indicare la volontà di andare là di rimanere.

 

Cosa non ha funzionato in Centro America?

Girando per il mondo a cercare lavoro mi sono fatto l’idea che in questo genere di cose molto dipende dal caso. Dipende dalla realtà che incontri, dalle relazioni che riesci a stabilire, dai contatti che si creano. Per entrare in un Paese occorrono i presupposti giusti: laddove accade, si va; laddove non accade, non si perde tempo. Per le aziende di grandi dimensioni è diverso: hanno uffici dedicati allo sviluppo dell’estero; in un’azienda di piccole dimensioni come la nostra c’è il titolare che fa un po’ tutto: si dà da fare per trovare collegamenti istituzionali, qualche volta li trova, altre volte no.

 

Sul mercato interno non si muove ancora nulla?

No, anzi. Ho la sensazione che siamo solo all’inizio.

 

Ma l’edilizia in legno non sta registrando buoni risultati?

È vero che il mercato delle case in legno è in crescita, ma è pur sempre una nicchia che, per chi si è mosso per tempo, sta cominciando a dare i primi risultati. Ma ha bisogno dei tempi di maturazione. Come per qualsiasi start up di nuovi business, anche questo settore ha bisogno di qualche anno per stabilizzarsi, essere portato a regime e arrivare a numeri che siano soddisfacenti. Oggi invece, limitandosi al “nuovo”, questi numeri coprono a malapena e a volte non riescono nemmeno a compensare la defaillance del mercato dell’edilizia tradizionale. Le faccio un esempio.

 

Prego.

La nostra azienda, che produce materiali lignei per l’industria delle costruzioni – quella che ci ha sempre dato da vivere – ha registrato una grandissima flessione dalla seconda metà del 2008 in poi. Il calo ha sfiorato il 60%. E del restante 40%, bisogna escludere il 20% che non paga. La quota del mercato tradizionale resta del 20% circa. Che segna il blocco dell’edilizia in Italia. Un blocco dovuto a diverse ragioni

 

A cosa si riferisce?

Forse si è costruito troppo e c’è anche un sacco di invenduto. Anche se il mercato immobiliare dovesse ripartire, per prima cosa si penserà a smaltire quello che si è costruito poi si potrà tornare a edificare il nuovo. Ma prima che il settore delle costruzioni torni ad assorbire materie prime – non solo il legno, ma anche cemento e ferro – ci vorrà tempo. Accadrà solo dopo che il settore avrà avuto un nuovo inizio. Per questo abbiamo cercato un mercato alternativo, che è quello delle case in legno.

 

Per il futuro che prospettive avete?

Per quanto riguarda l’estero più che di prospettive si parla di vere e proprie ipotesi. Se l’estero andrà come l’abbiamo impostato avremo sicuramente delle soddisfazioni e otterremo persino degli incrementi a livello di ricavi. Sarà l’estero insomma a mantenere l’Italia.

 

Oltre al Mozambico, a quali altri paesi state guardando?

In questo momento abbiamo delle possibilità in Kenya e contatti in Qatar. Inoltre, prediligo cercar lavoro nei paesi extracomunitari, magari quelli in via di sviluppo dove c’è qualche possibilità in più. La storia si ripete: quello che è successo da noi cento anni fa, altri paesi stanno cominciando a viverlo adesso.