Durante la decima Conferenza degli Ambasciatori, Enrico Letta, con un video-messaggio, ha parlato degli orizzonti economici che aspettano l’Itala. Il premier ha prospettato una crescita dell’1% nel 2014 e del 2% nel 2015, definendo questi traguardi come “obbiettivi possibili” se la fiducia nell’Italia sarà alta e se i conti saranno in ordine. Questo un passaggio del suo intervento: “In questi giorni, in queste settimane stanno germogliando i semi della ripresa che abbiamo davanti”. E per quanto riguarda l’industria, il Primo Ministro ha assicurato: “L’Italia non vuole abbandonare il suo primato tradizionale in campo industriale”. Abbiamo chiesto a Marco Fortis, vice-presidente della Fondazione Edison, un commento su queste parole.
Cosa pensa delle stime di Letta sulla crescita del Pil: si tratta davvero di obbiettivi possibili?
Sulle stime ufficiali del governo sono state avanzate perplessità da vari osservatori; per ultima Standard&Poor’s, che ha formulato una previsione per l’anno entrante pari a meno della metà di quella dell’esecutivo.
In pochi credono in una nostra ripresa…
Ma l’obiezione che è stata data dal nostro governo non è priva di fondate motivazioni; Standard&Poor’s non tiene conto di tutta un serie di dati positivi che si avranno in seguito all’impatto del pagamento dei debiti arretrati della Pubblica amministrazione e anche di quelli derivanti dalle misure attivate dal cosiddetto “decreto del fare”.
Quindi c’è speranza?
Io non so se faremo l’1%, però non credo nemmeno che faremo solo lo 0,4% come dice S&P’s. Sarebbe già un grande obbiettivo stare vicini all’1%, perché le condizioni della domanda interna italiana sono state messe a durissima prova dall’austerità. Quindi, se nonostante la crisi del mercato domestico si riuscirà ad avere un rimbalzo attorno all’1% direi che sarebbe una cosa importante. Tutto il Paese dovrebbe cercare di puntare a questo traguardo. Ma…
Prego.
Sono convinto che siamo entrati in un’era in cui i paesi avanzati non crescono più o fanno grande fatica a farlo. Perciò quando sento obbiettivi dell’1% è come se si fossero posti obbiettivi del 3% nel 2000. Oggi crescere dell’1% farebbe gola alla Germania, tanto è vero che in questo 2013 Berlino è cresciuta dello 0,4%…
Difficile dunque ottenere la meta prefissata?
Il proposito dell’1% italiano è molto ambizioso. La domanda estera è buona e le importazioni vanno bene, ma ci sono tanti mercati che sono fermi. Anche la Germania fa fatica a esportare in Cina (che ha rallentato). In un contesto di questo tipo bisogna fare i conti con la domanda interna che, oggi, è praticamente narcotizzata dall’austerity e dalle politiche che l’Europa ha imposto. In Olanda la domanda interna si è dimezzata; in Francia, ora che tassano di più le imprese e le famiglie, è ferma.
E in Germania?
La Germania corre un po’ più velocemente rispetto agli altri Stati perché ci sono tassi di interesse bassissimi (con i quali finanzia l’economia).
Quindi non è un problema solamente nostro?
No, non cresce nessuno oggi. Non è un problema italiano. In merito, l’ex responsabile dei debiti sovrani di Moody’s, Alexander Kockerbeck, ha detto che l’Italia non è stata capita in tutti questi anni.
È così?
Beh, prima della crisi crescevano dell’1%, avevamo la disoccupazione più bassa della Germania, non avevamo bolle immobiliari e finanziare e la ricchezza delle famiglie prosperava. Era un momento ottimale, eppure anche allora gli economisti italiani si lamentavano per la bassa crescita. Ripeto, in un’epoca in cui il Pil non cresce più a tassi esponenziali, quello che conta è non diventare poveri con una bassa crescita del Prodotto interno lordo. Inoltre…
Inoltre?
Di fronte a paesi che difendono il risparmio e la ricchezza – come ha fatto astutamente la Germania additando al mondo gli altri Stati europei come se fossero dei colabrodi – i paesi che pensano che la crescita del Pil sia la cosa determinante, trascurando altri aspetti quali, per esempio, il livello della ricchezza delle famiglie, la difesa dell’immagine della nazione e dei titoli pubblici, rischiano di fare degli autogol.
Dunque?
In questa crisi epocale, che ha spuntato le economie ricche, avere una crescita del Pil attorno all’1% sarebbe ottimale. Se l’Italia nei prossimi cinque anni facesse registrare una crescita simile sarebbe da metterci la firma. Oggi il Paese più competitivo (la Germania) che spiega agli altri che riforme fare, in realtà non cresce.
E noi come ci siamo mossi?
L’Italia ha compiuto la più grande riforma delle pensioni mai fatta in Europa e infatti il nostro famoso debito pubblico implicito è il più basso (dopo quello della Lettonia) come ha calcolato l’Università di Friburgo. I costi futuri legati alle pensioni sono stati drammaticamente schiacciati. Altri Paesi avranno costi enormi per le spese sanitarie e pensionistiche nel prossimo futuro.
Noi no quindi?
Noi no perché abbiamo agito in tempo per evitare di arrivare al 2025 con le gomme a terra. E poi ci dicono di fare riforme per diventare più competitivi. Ma come più competitivi? Siamo i quinti al mondo nel settore manifatturiero con l’estero e il secondo sub-manifatturiero. Il tutto senza avere la Bmw, la Daimler e la Volkswagen: abbiamo solo la Fiat. Togliete queste tre aziende alla Germania e vediamo…
Cosa dovremmo fare?
L’unica vera riforma che dobbiamo fare è mettere insieme un governo finalmente forte che duri cinque anni. La riforma elettorale è una priorità, insieme alla revisione del bicameralismo con l’istituzione di un’unica camera che decida senza perdere un sacco di tempo. Quando c’è un governo forte si va a Bruxelles e si dice “non va bene così”.
Il governo dovrebbe fare la voce grossa insomma.
Il governo dovrebbe dire: “Non volete essere solidali? Non volete collaborare alla nascita degli Eurobond? Non volete fare una reale unione bancaria? Bene: uscite voi dall’euro”. Io sono profondamente europeista, ma la piega che si sta prendendo, come cittadino italiano, non mi piace per niente.
Non è una questione di Pil e di decimali…
È inutile che stiamo a ragionare sui punti decimali della crescita. Bisogna pensare se vogliamo essere ancora vivi nei prossimi anni. Quello che si prepara in questa Europa disordinata, in cui la Germania detta legge, è un disastro finanziario. Le banche italiane si sono dovute prendere a carico 250 miliardi in più di debito pubblico perché gli stranieri se ne sono andati strumentalmente per andare a salvare i debiti pubblici dei loro paesi. E ora vengono a dirci che la nostra situazione è grave perché le nostre banche hanno troppi titoli di stato. Abbiamo titoli di Stato ottimi. Sono titoli italiani, mica argentini. E aggiungo…
Dica.
È ora di spiegare al commissario Rehn si smetteròa di fare ragionamenti sui punti decimali su di noi, perché l’Italia è da tre anni che è sotto al 3% del deficit/Pil. Vada a prendersela con la Spagna che è sopra e continua a chiedere dilazioni o con l’Olanda.
Un puzzle europeo da ricostruire.
Ho l’impressione che stiamo parlando di argomenti secondari rispetto a quello principale che è quello di riuscire a fare pendere il bilancio in Europa a favore dei Paesi che credono all’Europa, anziché dei paesi che non ci credono assolutamente. Lo hanno dimostrato nei 10 anni che hanno seguito la nascita dell’euro risucchiando risorse dal Sud Europa con un tasso di cambio fisso senza neanche dirci grazie. Gli stessi che quando c’è stata la crisi greca sono scappati a casa con il bottino. Il Nord Europa ci ha spolpato 300 miliardi di ricchezza negli ultimi anni.
Letta ha anche parlato di mantenere il primato industriale del nostro Paese.
Siamo un Paese che ha un’industria straordinaria, pur avendo alti costi dell’energia, un fisco e una burocrazia statale opprimente e tutta una serie di disfunzioni strutturali. La nostra industria è forte e lavora in condizioni disgraziate; non possiamo farci trattare come un Paese di serie b. Ribadisco: ricostruire la nostra immagine è una riforma più importante di tante altre che tutti i giorni ci vengono ricordate dal commissario Rehn.
(Fabio Franchini)