Stiamo vivendo un momento di crisi profonda. Ovunque volgiamo lo sguardo il quadro è sconfortante. La Confindustria è arrivata a dichiarare che la crisi attuale, ammesso che sia terminata, ha prodotto danni analoghi a una guerra. Dal 2007 il Pil totale è diminuito del 9,1% e quello pro capite dell’11,5% cioè di 2.900 euro a testa. I poveri sono raddoppiati arrivando a toccare i 4,8 milioni e i disoccupati hanno raggiunto i 7,3 milioni. L’elenco del disastro potrebbe continuare a lungo, ma ormai ne siamo tutti profondamente consapevoli.



Qual è la cosa che invece non viene detta? Perché ci si ferma alla superficie senza indicare le vere ragioni di questo disastro? Ha ragione la Confindustria: siamo all’interno di una guerra. Il guaio è che questa guerra non è solo economica ma è una guerra alla verità. Da anni stiamo nascondendo la verità e la vita nella menzogna procura disastri che, accumulandosi, aggravano sempre di più la situazione.



Vogliamo fermarci su alcune menzogne particolarmente diffuse.

1) È sempre colpa di qualcun altro. Nessuno ammette mai la propria responsabilità e si continua a scaricare su altri la colpa di quanto accade. Continuiamo ad attribuire ai politici (che certamente hanno moltissime colpe) l’attuale decadimento, ma, se siamo onesti, dobbiamo constatare che il popolo non è diverso. L’evasione, l’illegalità, la sporcizia per le strade, l’arroganza e la prepotenza alla guida sono sempre più diffusi. Non vuol dire che siamo tutti uguali. Anche tra i politici ci sono brave persone, come tra i cittadini comuni, ma quello che occorre sconfiggere è pensare che sia sempre colpa di altri, che noi siamo vittime innocenti e indifesi. Il primo atto di verità sarebbe ammettere che il male è dentro ciascuno di noi; che ognuno è chiamato a dare il proprio contributo e che fino a quando non lo facciamo è velleitario sperare che siano altri a farlo.



2) L’illusione di combattere il male con il male. È l’essenza della guerra. Reagisco al male opponendo un male possibilmente superiore a quello che mi viene fatto, per costringere l’altro a cedere e a venire a patti. Di fronte ai disagi sono sempre più numerose le manifestazioni di rabbia e di protesta. Le ragioni possono essere validissime, ma pensare di risolvere i problemi aggravandoli è pura illusione. Si poteva pensare che alcune lotte sindacali potessero costringere i padroni a scendere a patti. In un ambito ristretto e dentro un quadro sostanzialmente positivo, il sistema poteva accettare alcune forme di contestazione e generare effetti benefici anche attraverso alcune terapie violente. Ma anche le migliori medicine prese in dosi massicce finiscono per ammazzare il paziente.

Il 16 novembre si è svolto a Roma un presidio organizzato dai malati di SLA e da gravissimi disabili per sbloccare i fondi previsti per la non autosufficienza. Oltre a protestare di fronte al ministero dell’Economia i manifestanti hanno anche bloccato il passaggio dei veicoli. Alcuni guidatori sono scesi dalle loro auto e, anziché mostrare solidarietà con una delle categorie più svantaggiate, sono usciti con improperi irripetibili. Pieni dei loro problemi, innervositi dalle continue difficoltà, non erano certo disponibili a mettere a rischio i loro appuntamenti quotidiani e gli insulti agli handicappati erano solo la misura di quanto la lotta per la sopravvivenza stia cancellando ogni forma di solidarietà.

3) Per quanto possa sembrare paradossale, in una situazione nella quale i limiti di ciascuno sono drammaticamente evidenti, si arrivano a negare anche i dati più elementari. Non si accetta che sia la realtà a dirmi qual è il mio sesso, quali siano le mie condizioni di salute, a misurare le mie abilità scolastiche… Si pianificano i figli come fossero un prodotto e non si esita a ricorrere all’utero in affitto o a qualunque manipolazione necessaria pur di arrivare a tutelare il diritto di avere un figlio. Si arriva a negare di essere creature, strutturalmente dipendenti, si pretende di manipolare la realtà scimmiottando il Creatore. La negazione della realtà diventa immediatamente violenza, perché non si concepisce che altri possano pensare in modo diverso e si arriva a imporre a tutti il pensiero unico dicendo come si deve parlare della vita della famiglia, del sesso e di tutte le altre tematiche “sensibili”. L’illusione di essere autonomi si tramuta ben presto in oppressione e l’ideologia diventa il nuovo idolo, ben più tirannico e dispotico del Dio che si è voluto rimuovere.

Da dove ripartire? Il danno è così profondo che solo ripristinando almeno un po’ di verità si può realisticamente sperare che, dopo la guerra, vi sia una ricostruzione. Nessuno possiede la verità, ma possiamo ammettere che la verità è prima di noi, più grande e duratura di noi, che noi possiamo esserne posseduti.

Senza questa inversione non c’è speranza. Millenni di storia possono testimoniarcelo con abbondanza e quest’esperienza plurisecolare ci dice che la speranza non potrà mai essere cancellata perché radicata nel cuore di ogni uomo. In termini positivi possiamo pensare: come uomo è come me e il bene mio coincide con il suo. Solo operando il bene posso pensare di migliorare al tempo stesso la mia situazione e quella degli altri. È il concetto di bene comune, fondamento della convivenza di ogni politica, che occorre rimettere a fondamento delle varie scelte.

A partire da queste radici è possibile rivisitare la politica, l’economia, la scuola e ogni aspetto della vita sociale. Mettendo al centro il bene comune la politica diventa servizio e non più occupazione del potere; l’economia torna a essere uno strumento per rispondere i nostri bisogni e non più una modalità per accumulare senza freni; la scuola ritorna al servizio degli studenti e non più un luogo dove i sindacati organizzano tutto in funzione dell’occupazione.

Man mano che le cose funzionano tutto diventa più facile, il merito torna giocare un ruolo importante e consente una mobilità sociale altrimenti impedita dalle corporazioni intente a difendere a spada tratta i loro privilegi.

In questa difficile situazione abbiamo la fortuna di avere un grandissimo esempio nella Chiesa cattolica. Mentre la stragrande maggioranza delle persone si affrettava a celebrarne l’irrilevanza, ecco una sequenza di tre papi che hanno saputo rivitalizzarla mettendo al centro la verità. Giovanni Paolo II ha fatto crollare un regime oppressivo spalancando le porte a Cristo e alla sua verità. Benedetto XVI ha saputo coniugare Fede e Ragione, mostrandone il nesso inscindibile e accettando di sottoporre a verifica tutte le conoscenze. Francesco ripropone con la sua testimonianza la verità dell’esperienza e il predominio del reale sull’ideologia.

Oggi la Chiesa conosce un nuovo slancio perché non si arrocca in difesa, ma si apre alla verifica e all’incontro, attraverso tutte le possibili circostanze. Questa non facile trasformazione, che nel suo linguaggio si chiama conversione, è l’esempio luminoso di quanto il mondo deve fare se vuole uscire dai disastri e iniziare una vera pacificazione. Iniziare a vivere e ricomporre brandelli di umanità, come fecero i monaci quando l’Impero Romano stava andando in rovina, è il modo migliore per una vita degna di essere vissuta.

La variante è che oggi, come ci insegna Papa Francesco, deve essere portata in tutte le periferie perché la verità, se è tale, è per sua natura diffusiva. Oggi viviamo una crisi profonda che rischia di mettere in forse molte delle certezze conquistate nel passato, ma abbiamo un luminoso esempio che ci indica come, facendo leva sulla verità, tutto sia possibile.

Alla fine di un anno difficile non solo abbiamo fondate ragioni per sperare, ma abbiamo anche chiare indicazioni del percorso da seguire, se vogliamo, dopo la guerra, iniziare una vera ricostruzione.