La Legge di stabilità, approvata dal Senato il 26 novembre e ora all’esame delle Camera, contiene un pacchetto di misure per sostenere il credito alle imprese e alle famiglie, principalmente attraverso il Fondo centrale di garanzia per le Pmi. Il Fondo Pmi è il principale strumento nazionale per il sostegno del credito alle imprese. Possono accedervi le banche per garantire i prestiti erogati, e i confidi per contro-garantire le garanzie emesse. Il Fondo non soltanto copre una quota importante (fino all’80%) delle perdite da default future, ma dà subito la “ponderazione zero”: sulla parte garantita dallo Stato, gli intermediari non devono impegnare patrimonio ai fini di vigilanza, e questo è un grande beneficio in vista dei requisiti più severi di Basilea 3 e dell’imminente asset quality review che la Bce farà sui portafogli delle nostre maggiori banche.



Già il decreto salva-Italia del Governo Monti nel dicembre 2011 aveva assegnato al Fondo Pmi una dotazione cospicua, progressivamente impegnata per la rapida accelerazione delle domande: basti pensare che nei primi nove mesi del 2013 il Fondo ha accolto 51.000 pratiche per un volume di finanziamenti pari a 7,2 miliardi di euro (contro 6,0 miliardi nello stesso periodo del 2012). In assenza di nuovi stanziamenti, l’operatività si sarebbe bloccata nella prima metà del 2014. Il Governo ne ha tenuto conto, e nel disegno di Legge di stabilità ha stanziato a favore del Fondo 2,17 miliardi per tre anni.



Non bastava. In Senato è caduta una fitta pioggia di emendamenti. Alla fine, è passato un testo ispirato dal Governo che accoglie diverse tra le proposte presentate, nella cornice di un Sistema nazionale di garanzia fatto di cose antiche e nuove. Al Fondo Pmi si affiancano quattro nuovi strumenti. Il primo è la sezione “Progetti di ricerca e innovazione” dello stesso Fondo che potrà erogare garanzie (a rischio limitato e a condizioni di mercato) su grandi progetti di ricerca e innovazione finanziati dalla Bei. Il secondo è un nuovo fondo per finanziamenti alla prima casa istituito presso il Tesoro, con garanzia dello Stato, che eredita il portafoglio dell’analogo fondo istituito con decreto-legge del giugno 2008. Il terzo è un programma di investimento della Cassa depositi e prestiti in titoli creati mediante cartolarizzazione di prestiti a Pmi, anch’essi garantiti dallo Stato con risorse del Fondo Pmi. Il quarto è un Fondo per rafforzare il capitale dei confidi che sarà alimentato congiuntamente con risorse del Fondo Pmi e delle Camere di commercio (la gestione è affidata a Unioncamere).



Non sarà semplice attuare questo pacchetto di interventi, che tra l’altro la Camera dei Deputati potrebbe ritoccare in modo rilevante. La materia degli aiuti al credito è molto complessa. I policy maker che la trattano sopportano oggi un sovraccarico di istanze e bisogni a cui rispondere. C’è il problema del credit crunch in sé, quindi servono azioni per liberare un’offerta di credito aggiuntiva a soggetti che rischiano il razionamento. Questo richiede di sopperire alla duplice scarsità di fondi prestabili e di capitale a supporto delle nuove erogazioni. Serve poi un sollievo per il conto economico delle banche (e dei confidi), mediante la copertura di una parte delle perdite da default già emerse (nel 2013 il tasso di ingresso in sofferenza dei crediti alle imprese ha sfondato il massimo storico, salendo al 4,8% annuo). Per questi scopi, le garanzie pubbliche hanno un appealper i Governi poiché producono effetti espansivi immediati a fronte di impatti differiti sulla spesa.

Il percorso di attuazione del pacchetto dovrà superare diversi ostacoli, a cominciare dai nulla osta di Bruxelles in tema di aiuti di Stato. Gli interventi nuovi richiederanno un coordinamento tra istituzioni tutt’altro che facile, tenuto conto delle pressioni esercitate da gruppi con interessi divergenti. Due schieramenti si fronteggiano: da un lato, il mondo della piccola impresa; dall’altro, le banche e Confindustria, orientate ad allargare il fronte di intervento verso le imprese di taglia non piccola, che hanno peso preminente sullo stock del credito.

In passato, si era trovata ripetutamente un’intesa tra grandi e piccoli con gli Accordi sul credito (meglio noti come moratorie). Oggi, questo tipo di rimedio palliativo non basta più. Occorrono strumenti di diagnosi e di cura adeguati allo stato di sofferenza finanziaria delle nostre imprese. Non riusciremo mai a svilupparli senza l’impegno concorde di tutti gli attori che condividono questa condizione di sofferenza e devono dare delle risposte.