Stati Uniti e Unione europea avvieranno negoziati per l’apertura di una zona di libero scambio, un’intesa che porterà alla creazione di un asse attraverso cui controllare la metà degli scambi commerciali mondiali. Lo ha annunciato il presidente americano Barack Obama, nel corso del suo discorso sullo Stato dell’Unione. “Apriremo negoziati per una partnership sul commercio e l’investimento transatlantico (Transatlantic Trade and Investment Partnership) con l’Unione europea – ha detto – perché un commercio libero ed equo attraverso l’Atlantico sosterrà milioni di posti di lavoro in Usa”. Secondo il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, invece, un accordo di libero scambio pienamente operativo tra Ue e Usa potrà dare “uno stimolo dello 0,5% al Pil europeo”, aggiungendo che potrà venire a crearsi la “zona di libero scambio più grande del mondo”. Abbiamo chiesto un commento a Carlo Secchi, docente di Politica economica europea presso la Bocconi di Milano.
Professore, come giudica l’avvio di questi negoziati tra Stati Uniti e Unione Europea?
Il mio giudizio è assolutamente positivo. Si tratta di un progetto a cui, tra alti e bassi, si sta lavorando ormai da tempo, rispetto al quale è sempre stato manifestato un interesse sia da parte europea che americana e che sottolinea la grande importanza dei rapporti transatlantici.
Di che importanza parliamo?
Nell’economia globalizzata, guardando anche alla geopolitica a livello mondiale, credo sia fondamentale che tra Europa e Stati Uniti vi sia un rapporto molto stretto che non riguardi solo l’alleanza militare della Nato, il background comune di storia, civilità e così via, ma anche tutti i legami di tipo economico. Normalmente prestiamo attenzione alle vicende della finanza, quelle all’origine di tutti i nostri guai, però il flusso di investimenti e di commercio tra le due sponde dell’Atlantico è decisivo e adesso si appresta ad essere ulteriormente valorizzato e potenziato.
Obama parla di “milioni di posti di lavoro”, Barroso di uno “stimolo” al Pil europeo. E’ davvero così?
Senza dubbio esiste un elevato potenziale, ma è chiaro che le stime annunciate sono per loro natura molto approssimative. Appurato che nessuno possiede la sfera di cristallo, vi è però già un livello molto elevato sia di investimenti produttivi che di rapporti commerciali tra le due sponde dell’Atlantico, tanto che per alcune grandi società, che producono in parte in Europa e in parte in America, vi è quasi una sorta di integrazione. Se vi fosse un quadro giuridico, come l’area di libero scambio, in cui vengono esaltate le opportunità cercando allo stesso tempo di limare gli spigoli presenti, credo che sia Europa che gli Stati Uniti non avrebbero che da guadagnarci.
Barroso ha detto che “non sarà facile, ma è possibile” trovare l’accordo, perché “ci sono elementi per trovare soluzioni”. Quali sono al momento i maggiori ostacoli?
Sicuramente alcuni problemi ci sono e riguardano principalmente l’attuale quadro giuridico: per esempio, non sarà facile riuscire a conciliare la disciplina antitrust, decisamente differente nelle due aree, ma vi sono anche molte altre tematiche di grande importanza per l’operare delle imprese. Detto questo, vi sono poi anche numerosi problemi di minore entità legati a specifici interessi in cui il contenzioso commerciale è “micro”, cioè riguarda specifici contesti che, però, fanno quasi sorridere rispetto all’enorme potenziale che esiste. E’ quindi necessario che l’intenso lavoro che prenderà il via non perda di vista i grandi interessi in gioco per entrambe le parti.
Le imprese italiane hanno da temere qualcosa da un accordo di questo tipo?
In un contesto in cui vi è libertà economica per gli scambi e per gli investimenti, normalmente ci si aspettano vantaggi. E’ poi ovvio che qualche singola realtà potrà anche soffrire ma, se pensiamo alla presenza sul mercato americano di due grandi protagonisti come Luxottica e Fiat, vediamo che anche imprese europee sono riuscite a ritagliarsi uno spazio interessante e remunerativo oltre l’Atlantico. Lo stesso vale per le imprese americane, quindi credo sia opportuno guardare maggiormente agli effetti positivi dell’integrazione e della specializzazione piuttosto che temere la concorrenza in qualche ambito specifico.
Quando però si parlava di libero scambio con Giappone o Corea, le imprese italiane non sembravano così soddisfatte. Come mai?
Perché i due paesi da lei citati sono sempre stati impenetrabili a livello di investimenti e a livello commerciale, per le imprese europee e probabilmente anche per quelle americane. Parliamo di mercati molto regolamentati al proprio interno e in cui il sistema distributivo è rigidamente controllato da un sistema-Paese poco disposto ad aprirsi a un contesto di libero mercato. Per questo motivo vi è senza dubbio molta più potenzialità da sfruttare tra le due sponde dell’Atlantico.
(Claudio Perlini)