Il debito pubblico italiano, nel mese di dicembre, è sceso fin sotto quota 2.000 miliardi, attestandosi a 1.988,363 miliardi. A rilevarlo è la Banca d’Italia che, nel proprio bollettino sulla finanza pubblica, ricorda che a fine 2011 il debito era pari a 1.906,8 miliardi, il 120,7% del Pil, mentre da dicembre 2011 a dicembre 2012 è cresciuto di 81,517 miliardi di euro. Il presidente della Bce Mario Draghi, commentando al G20 i dati europei sulla crescita, ha parlato di numeri peggiori del previsto, ma anche di “una situazione di crescente stabilizzazione dell’attività economica” e di “segnali di fiducia, anche se a basso a livello, come ad esempio la discesa degli spread e della volatilità”. “Crediamo che il primo fattore di crescita nell’eurozona – ha sottolineato ancora Draghi – siano le riforme strutturali e l’aumento della domanda che arriva dal settore privato. Bisogna trovare la strada per avere più credito per l’economia reale, creando lavoro e producendo crescita”. Insieme a Carlo Pelanda, professore di Scienze politiche ed Economia internazionale all’Università della Georgia (Usa), commentiamo i dati rilevati da Bankitalia.
Professore, quanto emerge dal bollettino sulla finanza pubblica dimostra che la situazione sta effettivamente migliorando?
Non è proprio così. I dati diffusi riguardano più che altro aspetti di contabilità pubblica che in qualche modo già si conoscevano. Possiamo dire che la situazione è migliore nel senso che il fabbisogno dello Stato è leggermente diminuito, ma niente di più.
Quanto ha influito in questi numeri l’elevata pressione fiscale attuale?
Senza dubbio il gettito fiscale è aumentato, nonostante la recessione, perché gli italiani stanno pagando le tasse. L’idea secondo cui siamo un popolo di evasori non è evidentemente più attuale e, anche se dispiace dirlo, in qualche modo il “terrorismo fiscale” sta funzionando. Attenzione però, perché a fronte di questo vi è un drenaggio enorme di risorse disponibili, che si riscontra soprattutto nel crollo dei consumi (-4%) e in quello del Pil, proiettato al -1% ancora per il 2013.
Cosa sta accadendo quindi?
Da una parte la situazione sta migliorando, nel senso che tanti dipendenti pubblici, anche improduttivi, riusciranno a ricevere lo stipendio. Dall’altra, però, tutte le risorse che vanno a finanziare la “inutilità” statale non vengono destinate alla vera economia produttiva che, nel frattempo, sta rapidamente perdendo aziende e lavoratori. Possiamo paragonare l’attuale scenario a quello ecologico della desertificazione.
Cosa intende dire?
Gli alberi, invece di collaborare e dividersi adeguatamente l’acqua residua, competono tra di loro per poterne prendere di più. Ovviamente ad avere la meglio sarà l’albero più grosso, il quale toglie acqua ai più deboli, ma facendo così anche lui è destinato a morire per la mancanza d’acqua.
E’ per questo che diceva che non vi è alcun miglioramento?
Certo. Come dicevo la scelta di applicare il terrore fiscale, dando priorità al bilancio dello Stato, ha funzionato. Ma si tratta di una pratica che vediamo solitamente in uno Stato autoritario, in cui la gente paga le tasse non tanto perché lo ritiene giusto, ma perché ha paura.
Nel lungo termine a cosa porta una scelta simile?
A una diminuzione del fabbisogno dello Stato e a una tendenza di pareggio di bilancio, cioè quello che sta accadendo ora, ma ovviamente il Pil intanto scende. Si tratta quindi di un’operazione apparentemente buona nel breve termine, ma che si dimostra suicida in quello medio.
L’Ocse, nel rapporto “Going for Growth 2013”, ha raccomandato all’Italia di evitare i condoni fiscali. Al contrario, bisognerebbe ridurre le distorsioni e gli incentivi all’evasione diminuendo “le alte aliquote fiscali”. Cosa ne pensa?
Credo si tratti solamente dell’ennesima raccomandazione moralistica dell’Ocse. In Italia il condono fiscale serve per sanare un grosso problema di riequilibro del contratto fiscale nazionale vigente.
Si spieghi meglio.
Applicando il condono l’Italia chiude definitivamente con il proprio passato. Ecco perché bisogna incassare quei 60-70 miliardi di euro, in quanto condono oneroso, utilizzare queste risorse per pagare il debito che lo Stato ha nei confronti delle imprese e da lì ripartire con un nuovo contratto fiscale. C’è assolutamente bisogno di una discontinuità storica, quindi, una volta preso atto del nostro passato, è necessario chiudere una volta per tutte e ricominciare da capo.
Come mai allora l’Ocse ha voluto fare una simile raccomandazione?
Dicendo questo, l’Ocse non fa altro che applicare uno standard istituzionale di tipo moralistico, distribuendo raccomandazioni che però non sono di grande valore. Quello che viene detto ha un senso in un mondo ideale, futuro, che sarà senza dubbio da costruire, ma i recenti consigli non sono assolutamente adeguati alla situazione italiana. Una situazione talmente anomala che deve essere necessariamente cambiata prendendo una nuova strada.
(Claudio Perlini)