Nel G20 di Mosca le nazioni si sono impegnate a evitare guerre valutarie, ma in un modo ancora non ben svelato dalla stampa e di grave danno per l’Italia. Le nazioni hanno certamente preso coscienza del rischio: le svalutazioni competitive sono assimilabili a misure protezionistiche di chiusura dei mercati nazionali che poi distruggono quello internazionale. Ma non hanno trovato alcun modo per evitare le svalutazioni. Nelle contingenze, queste non servono a esportare di più, ma sono il risultato di dare priorità alla crescita e meno al rigore via politiche espansive e inflazionistiche per contrastare la tendenza recessiva nei mercati interni.
Giappone, Cina, Stati Uniti, Regno Unito, ecc., faranno così, di fatto scegliendo come obiettivo della politica monetaria non un tasso prefissato di inflazione, ma la riduzione della disoccupazione, per esempio in America a non oltre il 6,5%. L’attesa di inflazione prospettica per queste monete spinge il mercato a deprezzarne il valore di cambio. Da un lato non sarà guerra, in effetti, perché tutte le monete delle nazioni che hanno scelto di uscire via inflazione dalla crisi “scenderanno”. Dall’altro, l’Eurozona resta l’unica regione del mondo a rifiutare politiche economiche e monetarie espansive, mantenendo la priorità del rigore, e quindi l’euro è destinato a restare comparativamente alto, cioè in “trappola de-competitiva”. In sintesi, non vi sarà guerra dei cambi, ma nemmeno un accordo monetario globale per limitarne le oscillazioni che ridurrebbe il danno per l’Eurozona.
In tale scenario l’Eurozona potrebbe veder scendere di quasi il 30% l’export dell’area proprio in un momento di crisi recessiva. Potranno essere così masochisti la Bce e i governi europei? La Francia litiga con la Germania su questo punto da almeno un mese e, alla fine, i due sono arrivati a un compromesso: la Francia avrà il permesso di violare il rigore, ma in cambio non premerà per la svalutazione competitiva dell’euro che Berlino assolutamente non vuole perché l’elettorato tedesco è ossessionato dal rischio di inflazione. Dopo le elezioni tedesche, nel settembre 2013, Germania e Bce (riducendo i tassi) certamente ammorbidiranno il rigore e saranno più espansivi per evitare via inflazione una depressione.
Ma fino ad allora, pur la Bce attenta a non far salire troppo l’euro, la tendenza recessiva che colpisce l’Italia sarà peggiorata da un cambio sfavorevole. Significa chiusure e licenziamenti ulteriori dovuti al fatto che Roma non è riuscita a difendere il proprio interesse nazionale entro l’Eurozona.