Una banca italiana dell’export per sostenere l’internazionalizzazione delle nostre imprese. È l’idea contenuta nel Piano nazionale dell’export 2013-2015 presentato un mese fa. Lo schema di funzionamento si basa sul fatto che la Cassa depositi e prestiti eroga il supporto finanziario, lo Stato fornisce le garanzie e le aziende italiane che vanno all’estero godono delle misure tipiche dell’export finance. Uno strumento che potrebbe essere importante, dato che – come abbiamo visto ieri insieme a Luigi Galdabini – per le imprese i mercati esteri sono fondamentali per resistere alla crisi. Ilsussidiario.net ne ha parlato con Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.
Ritiene che quella della “banca dell’export” sia una proposta che potrebbe ridare ossigeno alle nostre imprese?
L’idea di confederare e strutturare meglio tutte le attività a supporto dell’internazionalizzazione delle imprese italiane è sicuramente positiva. Ci sono soggetti che hanno mostrato una certa efficacia nel corso degli ultimi anni, come Sace sul fronte dell’assicurazione e Simest su quello dell’internazionalizzazione nei Paesi extra Ue. Puntare a dotare l’Italia di un sistema che sostenga l’export delle imprese, soprattutto quelle piccole e medie, non può che produrre effetti benefici sulla nostra economia.
Questo tipo di banca sarebbe il primo caso del genere nel panorama europeo?
Altri paesi europei, come Germania e Francia, l’hanno istituita già da tempo, e hanno a disposizione strumenti molto più efficaci di quelli che possiede l’Italia. Si tratta di vedere come sarà strutturato l’intero meccanismo, ma certamente rafforzare il sistema di sostegno all’export delle imprese è cruciale, perché nei prossimi anni la domanda interna tenderà a essere veramente molto debole in tutta Europa, Italia compresa. L’export sarà quindi l’unico motore che avremo a disposizione.
Fino a che punto l’export italiano è penalizzato dall’euro forte?
Quanto sta avvenendo in questi giorni deve suonare come un campanello d’allarme. L’euro si sta rafforzando proprio mentre lo yen è fortemente svalutato. I giapponesi stanno puntando sia sulla domanda interna, con un mega piano di investimenti, sia sull’export con la svalutazione. Anche il sistema composto da dollaro e yuan perde valore rispetto all’Euro. Quindi tutte le monete del mondo in questo momento si stanno deprezzando, per cercare di favorire un rilancio nelle esportazioni dei rispettivi paesi. Nonostante le difficoltà interne di un’Europa che sta cercando di fronteggiare la crisi greca e il contagio nei paesi periferici, l’euro continua invece a essere una moneta molto forte.
In questa situazione, quali sono le responsabilità delle istituzioni?
In un contesto così difficile, è fondamentale attuare tutto ciò che si può fare per aiutare le nostre imprese ad andare a caccia di esportazioni e cogliere tutti gli interstizi possibili sul mercato mondiale. Il sistema italiano, con i mezzi che ha a disposizione e con la tipologia di imprese di cui è dotato, sta facendo il massimo possibile.
Quali sono i risultati raggiunti dalle nostre aziende?
Nei Paesi extra-Ue, l’Italia ha una quota di export tale da superare quella della Germania. Nei Paesi europei abbiamo surplus bilaterali ovunque tranne in Germania e in Olanda. L’Italia è uno dei pochi Paesi al mondo con un surplus strutturale nei manufatti, quest’anno arriveremo a oltre 90 miliardi di euro. Il sistema è già teso come un arco, e per esprimere nuovo potenziale deve poter offrire anche alle imprese più piccole e meno strutturate delle possibilità di andare sui mercati sia con l’export sia con forme di internazionalizzazione commerciale e produttiva.
Per l’Ucimu, che rappresenta i produttori di macchine utensili, l’Irap va abbattuta in una quota pari al rapporto tra export e fatturato dell’impresa. Lei che cosa ne pensa?
Si sta diffondendo a vari livelli la consapevolezza del fatto che il sistema dell’export va aiutato anche dal punto di vista fiscale, perché altrimenti rischiamo di perdere il nostro principale motore. La situazione interna è molto compromessa dalla necessità di ridurre l’indebitamento pubblico e per il fatto che le famiglie hanno patito una crisi molto lunga, e quindi si è abbassato il potere d’acquisto. Inoltre, le imposizioni fiscali hanno limitato le possibilità di spesa. In uno scenario simile il piano di aumentare la quota dell’export sul Pil, presentato dal presidente di Ice, Riccardo Monti, va nella direzione di cogliere quella poca brezza che è rimasta.
Quale deve essere la priorità?
Occorre dare priorità agli interventi per aumentare la robustezza dell’export, il quale a sua volta sostiene il mondo delle Pmi. Nonostante tutte le problematiche e un euro forte, l’export italiano è riuscito a tornare al di sopra dei livelli precedenti la crisi. La proposta dell’Ucimu del resto non è nuova. Già nell’estate 2011, Prometeia aveva studiato un meccanismo di cosiddetta “svalutazione fiscale”, cioè un intervento sul cuneo fiscale a favore delle imprese esportatrici che si pensava potesse essere finanziato con un aumento dell’Iva.
(Pietro Vernizzi)