Oggi si apre una partita molto dura in Europa, forse non decisiva, ma sicuramente di estrema importanza. Occorre trovare un accordo sul bilancio europeo. Si doveva trovare entro la fine del 2012, ma è stato rinviato a questo mese di febbraio, perché evidentemente l’accordo non si riusciva a raggiungere. Facciamo due conti, si fa per dire, elaborando i dati ufficiali diffusi dalla Commissione europea. L’Italia dal 2007 al 2011 ha già lasciato in Europa 22 miliardi di euro, solo 2 in meno della Francia, che ha però un reddito nazionale superiore di un quarto di quello italiano, e 5 in meno rispetto alla Gran Bretagna, che però ha un Pil maggiore del 10%. Oggettivamente non è un bel risultato. Tanto più se si considera che la struttura del bilancio europeo, nonostante sforzi e tentativi di cambiamento, si adatta ancora bene a un Paese come l’Italia. Due grandi voci che coprono circa il 91% delle uscite, agricoltura e “crescita sostenibile”, cioè i fondi coesione per le zone arretrate. Ma un conto sono le dichiarazioni di massima e le linee guida, un altro sono le capacità negoziali, che ovviamente si basano, anche in Europa su grandi interessi nazionali. Per esempio, la Spagna non ha mai mollato la presa sui fondi europei e ha portato a casa un saldo positivo per un valore di 14,5 miliardi, proprio nello stesso periodo in cui l’Italia cedeva 22 miliardi. Anche i francesi difendono gli interessi dei loro contadini e persino quelli dei latifondisti, mentre gli inglesi si sono sempre preoccupati soprattutto di difendere il “rebate”, il rimborso dei contributi ottenuto da Margaret Thatcher nel 1984. E allora di fronte alla prospettiva di destinare nei prossimi sette anni 80 miliardi in più per ricerca e innovazione e di orientare 84 miliardi per sostenere disoccupati e nuove povertà, che futuro si riserva l’Italia?



Secondo Guido Gentili, editorialista de Il Sole 24 Ore, «il nostro contributo è forte e pesa anche sul rapporto debito-Pil che abbiamo in questo momento, rapporto che ha ormai superato il 120%. Inutile nasconderci che il negoziato sarà difficile e che ci sono altri problemi indirettamente connessi alla questione del bilancio europeo».



Quali problemi?

In queste settimane è emersa la questione dell’euro forte, di una moneta sopravalutata. Lo ha detto il presidente francese Francois Hollande e il governo italiano è ovviamente interessato a questa posizione dei francesi. Ma i tedeschi hanno subito risposto che l’euro non è una moneta sopravalutata. Questo pone dei problemi sull’export delle imprese italiane, considerando anche la politica di cambio che stanno facendo sia gli Stati Uniti che i giapponesi, che continuano a stampare moneta. Il problema si porrà anche di fronte al direttorio della Banca centrale europea, anche se questo non è un compito specifico della Bce.



 

Hermann Van Rompuy, nel convocare i leader europei ha scritto: “Con qualche adattamento, sono sicuro che la proposta che vi ho fatto il 22 novembre può essere la base per un accordo al vertice europeo”. Cosa ne pensa?

Io credo che sarà un negoziato difficile, anche perché in Europa ci sono alleanze che si possono definire a “geometria variabile”. Ad esempio, c’è una posizione comune tra inglesi (chiaramente euroscettici e fuori dall’euro) e tedeschi (che, in questo anno elettorale, non vogliono apparire come i grandi contribuenti dei paesi europei in difficoltà) su una diminuzione del bilancio europeo. Su questo punto si inserisce poi un asse franco-italiano sulla supervalutazione dell’euro. Far quadrare tutti questi punti mi sembra molto problematico. 

 

E’ stata la stessa Angela Merkel a parlare nei giorni scorsi della necessità di arrivare a un compromesso.

E’ vero, ma bisogna vedere di che tipo di compromesso si tratta. Qui bisognerà fare molta attenzione. Anche perché da questo bilancio europeo sarà difficile delineare possibilità per la crescita, che in questo momento sembra l’aspetto più importante. Credo in definitiva che sarà un negoziato difficile che si cerca di raggiungere in un momento difficile.

 

(Gianluigi Da Rold)

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