Le sorti dell’Ilva e, soprattutto, quelle dei suoi lavoratori sono legate, nel breve termine, alla decisione che assumeranno i giudici in merito alla richiesta di dissequestrare le merci prodotte prima del 26 luglio, quando furono messi i sigilli all’impianto. Nei giorni scorsi, è stata rigetta l’istanza di dissequestro di circa un miliardo di euro di merce prodotta tra la data suddetta e il 22 novembre scorso; istanza vincolata al pagamento dei salari dei dipendenti e alle opere di ristrutturazione previste dall’Aia. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Donato Stefanelli, segretario generale della Fiom di Taranto e coordinatore della Fiom Puglia.
Come si sta evolvendo situazione?
Rispetto alla decisione dell’azienda di fare istanza per chiedere un parziale dissequestro, considerando che a novembre (quando furono disposti i sigilli per le merci) non si tenne conto di quanto fu prodotto prima del 26 di luglio, non azzardo previsioni. Ovviamente, auspico che finalmente si trovi una soluzione.
Com’è possibile che la magistratura abbia deciso di non concedere le rimozione dei sigilli vincolando i proventi della merci al pagamento degli stipendi dei lavoratori?
Non abbiamo mai preso posizione sulle decisioni della magistratura, ma ci siamo sempre limitati a rispettarne l’operato.
In ogni caso, tra i lavoratori, che aria si respira?
Il clima è drammatico. I problemi, a oggi, ancora non sono stati risolti, mentre tutti siamo in attesa di un piano industriale che, attualmente, non esiste.
Quindi?
Auspichiamo che si concretizzi l’ipotesi avanzata di recente, quella di ricapitalizzazione della società, aprendo’ingresso delle sedi societarie a nuovi partner.
Le risulta che ci siano degli investitori?
Per il momento, si tratta esclusivamente di un’ipotesi, di cui non conosciamo gli sviluppi. La novità consiste nel fatto che, fino a due mesi fa, tale ipotesi non era nemmeno contemplata.
Nel frattempo, pare che i Riva continuino ad affermare che garantiranno lo stipendio a fine mese.
In realtà, il sindacato si è battuto affinché tale ricatto fosse rimosso. A oggi sono stati pagati tutti gli stipendi, e anche questo mese lo saranno. Per i prossimi, ovviamente, non possiamo dire cosa accadrà. Quanto meno, la proprietà ha smesso di aver questo atteggiamento inaccettabile. Quando un dipendente lavora deve essere retribuito, punto e basta. Resta il fatto che l’azienda ha problemi di liquidità. Lo sappiamo non perché ce lo ha riferito, ma perché ne abbiamo studiato i bilanci.
Se non si troveranno gli investitori decisi a ricapitalizzare, quali alternative ci sono per la ripresa della produttività e la garanzia dell’occupazione?
Per quanto ci riguarda, il percorso è già tracciato. Se l’azienda non è in grado di dare risposte, abbiamo già chiesto al Governo e allo Stato di intervenire direttamente.
Il Governo ha già provveduto con un apposito decreto che, tuttavia, non sembra aver risolto la situazione.
Non stiamo parlando, infatti, di un ulteriore provvedimento legislativo. Lo Stato deve intervenire direttamente, con un prestito forzoso ed entrare nel capitale per gestire direttamente dell’azienda.
Deve nazionalizzare?
Non necessariamente. E’ sufficiente che entri negli assetti societari per gestirne le attività. Non dimentichiamo che rispetto agli obblighi assunti in merito all’Aia siamo ancora alla predisposizione della parte gestionale-burocratico-amministrativa, mentre le azioni di risanamento devono ancora partire. E’ evidente che occorrano soldi, ameno 3 o 4 miliardi. Se non sono i grado di tirarli fuori i Riva, dovrà farlo qualcun altro.
(Paolo Nessi)