La ripresa incomincerà nella seconda metà del 2013. A renderlo noto è il bollettino mensile della Banca centrale europea, secondo cui “i protratti miglioramenti delle condizioni nel mercato obbligazionario dell’area dell’euro hanno trovato riflesso anche nella vigorosa domanda manifestata in occasione delle aste regolari dei Tesori italiano e spagnolo durante tutto il periodo, nonché nei progressi compiuti da Portogallo e Irlanda per riacquistare il pieno accesso al mercato”. Ilsussidiario.net ha intervistato il professor Mario Deaglio, professore di Economia internazionale nell’Università di Torino.



Che cosa ne pensa dell’ottimismo della Bce sulla seconda metà del 2013?

L’Istat di recente ha pubblicato i conti economici dell’ultimo trimestre 2012, da cui risulta che il Pil in Italia nel 2013 parte con un risultato acquisito negativo del -1%. Ciò significa che se la crescita dell’economia dovesse continuare per l’intero 2013 ai livelli di dicembre 2012, la media annua sarebbe inferiore dell’1% a quella del 2012. Possiamo anche immaginare una situazione in cui ripartirà, ma complessivamente aumenterà meno dell’1%. In questo modo arriverebbe a essere al di sotto del livello dell’anno prima non del -1%, ma, poniamo, dello 0,1%.



Quali sarebbero le conseguenze di questo scenario?

In questo caso avremmo una ripresa, ma non così grande da poterci portare fuori dalle difficoltà. E’ lo scenario delineato da tutti i maggiori centri italiani e stranieri, i quali semplicemente differiscono l’uno dall’altro su quando comincerà questa piccola ripresa. Confindustria è più ottimista di altri, e se l’organizzazione degli industriali di per sé ha dei toni molto allarmati, i dati del suo centro studi danno dei pre-indicatori leggermente positivi. Gli ordini hanno svoltato, l’esportazione tiene e su questi elementi si potrebbe costruire una piccola ripresa.



Che cosa prevedono invece Ue e Ocse?

Anche Ue e Ocse prevedono una svolta, che però secondo le loro stime non sarà sufficiente a riportare il segno più sulla media annuale. Nelle singole analisi c’è quindi un’accentuazione più o meno grande della ripartenza dell’economia e della forza di questa ripartenza. E’ questo il vero elemento di incertezza, perché con gli anni le nostre capacità di comprendere e prevedere l’economia non sono aumentate bensì diminuite. La “produzione invisibile”, cioè i servizi, nel tempo ha acquistato un’importanza sempre maggiore, e purtroppo si tratta di un settore su cui la statistica riesce a prevedere molto poco.

L’aumento della domanda estera può essere sufficiente a determinare questa pur limitata ripresa?

Dipende da quanto accadrà alla domanda interna. Poniamo che dalla domanda estera provenga uno stimolo pari al +1% annuo, cui corrisponde un -1,5% della domanda interna: in questo caso l’export non sarebbe sufficiente a trainare la ripresa. Se al contrario la domanda interna rimanesse stabile, a quel punto le esportazioni potrebbero fare la differenza. La scommessa degli ottimisti è però che la domanda interna non possa cadere più di tanto.

 

Per quale motivo?

La domanda interna significa soprattutto il rinvio di acquisti. Prima o poi questi rinvii però cessano, soprattutto per quanto riguarda i beni di consumo durevoli. Se fare aggiustare la lavatrice costa 100 euro, dopo due volte che si rompe inizia a diventare conveniente comprarne una nuova. L’esperienza sulla recessione in Giappone documenta che la domanda interna non può cadere oltre un certo limite, in quanto dopo un certo numero di trimestri al ribasso si innesca la ripresa. Può essere un’opportunità per un futuro governo italiano di lavorare su questa ripresa spontanea e vedere se si riesce a irrobustirla.

 

La Bce ricorda che “gli aggiustamenti di bilancio necessari nei settori pubblico e privato seguiteranno a gravare sull’attività economica”. Significa che comunque vada non si cambierà rotta?

Su questo le banche centrali tendono ad avere un atteggiamento ambivalente. Da un lato invitano a fare le riforme e a incoraggiare la crescita, dall’altra chiedono il pagamento dei debiti. Occorre quindi mettersi d’accordo: se dobbiamo pagare i debiti non ci saranno più risorse per la crescita. Le riforme così come sono presentate sono molto spesso vaghe e richiedono comunque dei tempi lunghi per andare a regime.

 

(Pietro Vernizzi)

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