Finalmente, dopo mesi di cali, un segno positivo. Sono le esportazioni italiane ad aprire il 2013 con un salto in avanti facendo registrare un aumento dell’8,7% su base annua, mentre l’import risulta ancora in discesa (-1,8%). Non è però tutto oro quel che luccica e, anche se su dicembre migliorano entrambi i flussi con l’estero, con un aumento più marcato delle vendite (+1,4%) rispetto agli acquisti (+0,4%), a preoccupare è la forbice sempre più larga tra l’Unione europea (+2,6%) e il resto del mondo (+17,6%): i dati mostrano, infatti, un’Europa ancora troppo debole, finalmente capace di rivedere un aumento dopo due mesi difficili ma di fatto surclassata dai dati che riguardano i paesi extraeuropei. «Se a gennaio le esportazioni sono andate così bene -conferma a ilsussidiario.net Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison e docente di Economia industriale e commercio estero presso l’Università Cattolica di Milano – lo dobbiamo soprattutto ai mercati extraeuropei, da cui senza dubbio proviene il maggiore impulso. Questo dimostra ancora una volta che le economie non europee ultimamente “tirano” molto, sia per quanto riguarda i Paesi emergenti che gli stessi Stati Uniti, anche se sotto la spinta di un’economia “drogata” dal debito pubblico».



Buona parte del merito è però delle nostre imprese che riescono ad affacciarsi sui nuovi mercati, non crede?

Questo è indubbio. Le imprese italiane riescono ad approfittare nel migliore dei modi del momento favorevole di alcuni paesi, dimostrando nuovamente di essere in grado di raggiungere qualsiasi mercato, anche i più lontani.



Quanto è stato importante il lavoro degli ultimi mesi sotto il profilo dell’export?

Decisamente molto, visto che oggi la quota di vendite extraeuropee dell’Italia, in percentuale sul totale dell’export, è più alta di quella della Germania. Le nostre imprese sono riuscite quindi a consolidare diverse posizioni importanti anche in mercati molto difficili, raccogliendo risultati rilevanti soprattutto in Russia e Turchia, ma anche in Cina, nei Paesi del Mercosur e in quelli arabi.

A essere in crisi sono invece i mercati europei, vero?

Esatto, i mercati europei sono evidentemente in crisi. La recessione ha colpito tutti e la stessa Germania ha rallentato moltissimo, ma questo si nota semplicemente andando a vedere i dati relativi agli scambi intracomunitari. In tutto ciò è però evidente la miopia dell’Europa, capace di praticare un’austerità talmente dura da riuscire a fermare anche i paesi che pensavano di poter crescere più degli altri.



Prevede quindi un ulteriore aumento dell’export extraeuropeo?

Sicuramente le imprese continueranno a esportare, visto che il loro imperativo è proprio quello di non accontentarsi mai e di affacciarsi sempre su nuovi mercati. Ormai siamo entrati in tutti gli interstizi del mercato internazionale, fin dentro le più remote aree del pianeta, da quelle che erano le province dell’ex Urss fino all’Azerbaigian e il Vietnam. Ai paesi diventati manifatturieri vendiamo tecnologie, laddove iniziano a crescere le classi affluenti vendiamo beni di lusso, come quelli del Made in Italy.

Il vero problema è quindi la domanda interna?

E’ certamente il più grande problema attuale. La domanda interna è stata mortificata da questa recessione “pilotata”, frutto di un rigore fiscale che l’Europa ha clamorosamente sbagliato a imporre in questi termini. Il risultato, infatti, è stata la distruzione di ciò che rappresentava il più grande traguardo europeo, cioè il mercato unico interno.

 

Si spieghi meglio.

 

Se i cittadini europei non consumano più, è ovvio che si blocca anche tutto quel mercato interno che era il grande terreno di movimento delle imprese europee, a cominciare da quelle tedesche e italiane. Abbiamo praticamente fatto collassare una grande fetta di mercato, con la conseguenza che oggi, se vogliamo toglierci delle soddisfazioni, siamo costretti a rivolgerci ai mercati extraeuropei.

 

Cosa fare dunque per far ripartire la macchina europea?

 

Per far ripartire la domanda interna, con dei consumatori così annichiliti nello spirito, l’unico margine di manovra potrebbe provenire da un rilancio degli investimenti a livello europeo. Un’altra soluzione potrebbe essere l’apertura di quei cosiddetti spazi di “Golden Rule” per togliere una certa parte di investimenti dal conteggio dei deficit di bilancio del debito pubblico, in modo tale da stimolare una ripresa della domanda di investimento.

 

Quindi prima gli investimenti e solo dopo i consumi?

 

Nel momento in cui si genera un trauma di questo tipo, si fa prima a far ripartire gli investimenti che non i consumi. Poi, tra le varie ipotesi, si potrebbe anche immaginare un rilancio degli investimenti infrastrutturali europei attraverso l’adozione dei Project Bond ed EuroUnionBond da tempo prefigurati da Quadrio Curzio e Prodi. Nel tentativo di superare la forte diffidenza tedesca, infatti, è stato detto che parte di questa emissione di titoli, da investire nella stabilizzazione del debito e nelle infrastrutture, avrebbe potuto essere garantita anche con conferimenti di asset come oro e investimenti dello Stato in società quotate in Borsa.

 

Cosa produrrebbe un progetto del genere?

 

Ovviamente se 2.000 miliardi di euro, o anche di più, venissero destinati agli investimenti, la macchina della crescita in Europa potrebbe effettivamente ripartire. In assenza di tutto questo, invece, si può proseguire con le esportazioni extraeuropee che però, dopo un ulteriore aumento, prima o poi troveranno degli ovvi limiti. Non è possibile trovare ogni giorno nuovi mercati su cui affacciarsi, quindi si dovrà comunque immaginare un’altra soluzione, a meno che non si voglia decidere di andare a esportare su Marte.

 

(Claudio Perlini)

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