Due opposte chiavi di lettura per l’interpretazione dei dati Istat sulla produzione industriale che segnano a gennaio 2013 un aumento dello 0,8% rispetto a dicembre 2012 (il rialzo mensile più forte da agosto 2011) e un calo dell’1,9% nella media del trimestre novembre-gennaio. Una positiva, l’altra negativa. Lo sostiene il professor Bernardo Bertoldi, docente di creazione d’impresa presso la Facoltà di Economia dell’Università di Torino. Gli indici corretti per gli effetti del calendario (i giorni lavorativi sono stati 22 contro i 21 di gennaio 2012) segnano, a gennaio 2013, una variazione tendenziale positiva per il solo raggruppamento dei beni di consumo (+0,8%). Diminuzioni significative si registrano per i beni intermedi (-6,0%) e per il comparto dell’energia (-5,0%), mentre una diminuzione più contenuta riguarda i beni strumentali (- 4,5%). Mentre su base annua la produzione industriale scende ancora, in calo del 3,6%, il diciassettesimo ribasso consecutivo. «Nel complesso – sostiene Bertoldi – questa crescita può essere dovuta a un aumento delle esportazioni o a una diminuzione dei consumi».



Scendiamo nei particolari, qual è, dunque, la sua analisi?

La lettura più semplice e più giusta, secondo me, è che da un lato abbiamo vissuto un anno terribile e i primi mesi del 2013 hanno segnato non una ripresa in termini economici del sistema, ma una maggior fiducia del mondo imprenditoriale, anche perché in quei mesi riparte l’attività produttiva, ricominciano i primi giri di vendite ed è quindi possibile che la produzione industriale cresca. La seconda lettura, terribile, sarebbe che i dati di dicembre e gennaio fossero un tentativo, andato male, del sistema industriale di produrre per le vendite di Natale.



In che senso?

I dati del consumo nel periodo delle feste natalizie e dei saldi sono molto negativi. Può darsi che le aziende abbiano tentato di aumentare i magazzini di tutta la catena di produzione tra novembre e dicembre aumentando quindi la produzione tendenziale, producendo più dell’anno prima, e questa però si è bloccata nel sistema di distribuzione. Per confermare la vista negativa bisognerebbe, però, confrontare i dati di consumo, e gli ultimi che ho analizzato non sono incoraggiati.

Rispetto a gennaio 2012 i settori caratterizzati dai maggiori tassi di crescita sono: le industrie alimentari, bevande e tabacco (+4,8%), la fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi (+3,7%)… Come si spiega?



Lasciando stare il mondo dell’elettronica che immagino sia di esportazione, il mondo di industrie alimentari è diviso in due in Italia: il mondo che vive di consumi interni e il mondo dell’export, quest’ultimo più piccolo rispetto al primo. È quindi difficile che quei settori vadano bene se l’Italia non va bene, d’altra parte però questi dati sulle esportazioni erano incredibilmente positivi sia a gennaio, sia a febbraio. Anche qui la lettura può essere duplice.

In che modo?

Io la leggerei di nuovo come un modo di crescere legato alle esportazioni. Sulla produzione alimentare c’è anche un fenomeno legato al tipo di consumo che si sta polarizzando tra il basso costo e la qualità anche se non so quanto incida sui dati Istat: in questa tendenza l’Italia ha un vantaggio perchè tutto il mondo della grande distribuzione è governato da imprese estere che si ritirano molto velocemente se c’è pressione sul prezzo, mentre la parte sulla qualità è rappresentata da aziende italiane che se quel tipo di segmento cresce hanno un vantaggio forte, mentre se la distribuzione diminuisce le grandi aziende straniere non fanno altro che diminuire la produzione o chiudere.

Per una forte ripresa della produzione industriale che cosa bisognerebbe fare?

Non ci sono cose nuove da dire. Chiaramente serve risolvere il problema del lavoro visto sia in termini della necessità di un mercato più flessibile, sia nell’ambito di una revisione della legge sul lavoro. Se avessimo più stabilità politica questo ci aiuterebbe, ma non lo darei come scusa agli imprenditori, perché la terza cosa che serve è capacità e voglia imprenditoriale, che certamente non manca in Italia. Per portare gli imprenditori a scommettere sulla crescita delle loro aziende serve una politica stabile, una legge sul lavoro fatta meglio e un sistema bancario che li segua. Queste sono tutte condizioni di contorno necessarie, ma non sufficienti, se non c’è di base un forte spirito imprenditoriale.

 

Le basi per provarci ci sono…

 Il problema è che siamo nel mezzo di una crisi iniziata nel 2009, bisogna abituarsi a una nuova normalità e competere e vivere in un mercato internazionale dove le cose sono un po’ più complicate, ma questo non vuol dire che bisogna fermarsi, ma che bisogna adattarsi.

 

(Elena Pescucci)