Il governo Monti ha sbloccato 40 miliardi di euro di debiti della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese italiane. Una prima tranche da 20 miliardi sarà saldata entro dicembre e una seconda tranche nel 2014. Una risposta alla situazione sempre più grave in cui versa il nostro sistema produttivo, se si pensa che secondo un rapporto del Censis tra il 2009 e il 2012 il 75% delle aziende si è trovato obbligato a un significativo ridimensionamento. Ilsussidiario.net ha intervistato Oscar Giannino, giornalista economico.



Lo sblocco del pagamento di questi debiti può evitare la moria di imprese e salvare i distretti?

Da tempo ho segnalato la totale anomalia dello Stato italiano. Da un lato si pretende il rispetto al millimetro dell’adempimento fiscale, con il nostro Parlamento che ha recepito il regolamento Ue che prevede un limite di 30 giorni per i pagamenti tra privati. Dall’altra non abbiamo neanche una contabilità analitica del debito pubblico nei confronti delle imprese, al punto che nel comunicato congiunto di Olli Rehn e Antonio Tajani si chiede all’Italia di esibire le cifre esatte.



Perché finora nessuno ha pensato quantomeno a calcolare quanto spetta alle imprese?

Finora lo Stato ha negato la necessità della liquidazione sul debito commerciale al punto che non ha neanche una sua contabilità analitica, ma si limita a calcoli del tutto approssimativi. Il centro studi di Confindustria afferma che Stato centrale e autonomie locali debbano ai fornitori 71 miliardi di euro, anche se si tratta di una stima che risale ad anni fa. Ipotizzando che ci sia un 10% in più saremmo a oltre 80 miliardi, ma la verità è che nessuno lo sa esattamente.

Che cosa accadrà nel momento un cui la prima tranche da 20 miliardi sarà liquidata?



Questa somma corrisponde a punti di Pil di liquidità che rimessa in circolo in tempi brevi cambierebbe la condizione delle imprese dalle tenebre a un inizio di luce. In questo modo si contribuirebbe potentemente non solo a una condizione di maggior forza delle aziende creditrici, ma a un effetto positivo nell’intera catena dei pagamenti. Proprio per questo occorre che il governo ponga in essere il prima possibile tutto ciò che serve.

Una volta realizzata la contabilità analitica, quali dovrebbero essere i passi successivi?

Occorrono strumenti concreti per far sì che il pagamento avvenga con liquidità, e non invece con emissioni straordinarie di titoli del debito pubblico. Ieri mattina Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti, ha dichiarato che può fare fronte solo a investimenti del perimetro pubblico e non a investimenti correnti. E’ quindi opportuno modificare le attribuzioni della Cdp. Invece di ricorrere alle sue liquidità occorre utilizzarne gli attivi che sono pari a 270 miliardi. Questi ultimi devono cioè essere posti in garanzia al sistema bancario perché il prima possibile si arrivi a un pagamento in liquidi del debito alle imprese. E’ quanto ha fatto la Spagna per 28 miliardi di euro. Se è riuscito a farlo Madrid, che ha condizioni del sistema bancario peggiori delle nostre, risulta incomprensibile perché la Ragioneria generale del Tesoro finora abbia fatto orecchie da mercante.

 

Per il Censis il 75% dei distretti italiani è stato costretto a un ridimensionamento negli ultimi quattro anni. Davvero la situazione è così drammatica?

L’economia italiana è gravata da una specie di asimmetria. La manifattura che esporta è tornata oltre quota 2008, risalendo sopra i 200 miliardi di export, che rappresentano un non disprezzabile 35-36% del nostro Pil. Non siamo la Germania, che fa un export da 1.100 miliardi su 2.300 miliardi del suo Pil (cioè il 46/47%), ma i dati sul nostro Paese sono la prova del fatto che esiste un tessuto manifatturiero italiano che continua a piazzare circa 500 prodotti al primo, al secondo o al terzo posto tra le mille specializzazioni merceologiche più diffuse nel commercio mondiale.

 

Quali sono invece le condizioni del mercato interno?

I due terzi del Pil italiano dipendono dal mercato interno, che è in crisi di sottoconsumo strutturale. A questo livello la strage è in corso, e c’è una malattia che non è congiunturale, come quella che può derivare dagli andamenti del commercio mondiale, ma è ormai strutturale. Deriva infatti dai sovraccosti energetici, fiscali e amministrativi e non è esposta allo sprone della concorrenza internazionale che è ciò che ha spinto in avanti le filiere dell’export.

 

(Pietro Vernizzi)

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