“Non è quello che volevamo”: coinciso e stroncante il commento di Giorgio Squinzi al decreto con cui il Governo italiano ha deciso di sbloccare il pagamento dei debiti che lo Stato ha nei confronti delle imprese. Il Presidente di Confindustria è forse impazzito dato che finalmente le imprese avranno indietro ciò che gli spetta? Non proprio. È innegabile, infatti, che questo provvedimento costituisca una svolta importante dopo così tante “chiacchiere”. Tuttavia, Mario Monti avrebbe forse dovuto misurare meglio le parole e i toni trionfalistici, sempre che voglia ancora distinguersi dal suo predecessore. Come ha già spiegato su queste pagine Gianni Credit, a questo fatidico passo si è arrivati dopo un insistente “lavorio ai fianchi” condotto (non solo) proprio da Confindustria. Sono infatti mesi che il quotidiano degli industriali, oltre a porre l’accento sulle differenze di spread tra Italia e Spagna (che vedono in vantaggio Roma, anche se per i crediti delle imprese Madrid si è mossa già l’anno scorso sbloccando 27 miliardi), va dicendo che lo Stato deve pagare i suoi debiti, specie in un momento in cui chiede di essere pagato di più e puntualmente attraverso un Fisco sempre più vorace.
Fino alla settimana scorsa lo Stato ha potuto “respingere” le richieste (cui si è aggiunta anche quella dell’Anci per “sforare” il Patto di stabilità) chiamando in causa la rigidità sui conti pubblici da parte dell’Europa. E quando da Bruxelles è stato fatto cadere l’ultimo ostacolo, il Governo si è trovato con il cerino in mano: o si dava una mossa o rischiava di passare per ostruzionista. Purtroppo quanto ha fatto, a mio modesto parere, non mostra un atteggiamento “collaborativo” nei confronti delle imprese. Tanto che la reazione di Squinzi mi pare del tutto giustificata. Con tutto il rispetto con l’immagine che sto per usare, è come se un medico (il Governo) fosse stato chiamato al capezzale di un uomo (le imprese) che mostra chiari sintomi di un infarto. Pur riconoscendo il malore, è come se finora il medico si fosse limitato a misurare la pressione e a cercare il battito cardiaco tergiversando, mentre le persone intorno non facevano che chiedere di chiamare al più presto un’ambulanza. Finalmente, e solo quando gli è stato messo il telefono in mano, il medico si è deciso ad avvertire il 118: subito il paziente è arrivato al Pronto soccorso. Ma ecco che è stato messo in codice bianco, pur essendo in evidente pericolo di vita.
Come spiegare altrimenti la scelta di sbloccare la prima tranche dei pagamenti (20 miliardi) alla seconda metà dell’anno? Come spiegare altrimenti la netta e manifestata volontà di pagare i propri debiti con titoli di Stato con cui sicuramente non si possono pagare né dipendenti, né fornitori (specie se stranieri)? Se il Governo avesse avuto realmente a cuore il problema e le sorti delle imprese avrebbe adottato provvedimenti urgenti per pagare parte di quanto dovuto cash (altrimenti le aziende d’ora in poi potranno sentirsi autorizzate a pagare Irap, contributi e balzelli vari in merci): i modi per farlo, come sottolineato da Oscar Giannino e Paolo Preti, ci sono. Meglio quindi che Monti dimostri in fretta che “la disciplina di bilancio paga” (sua affermazione alquanto discutibile) aprendo il portafoglio.
Ma non è tutto, perché (e Augusto Lodolini ha già avuto modo di sottolinearlo) non si capisce bene con quali criteri questi 20 miliardi verranno (semmai lo saranno) distribuiti. Non è questione di poco conto. Non me ne si voglia ancora se faccio un esempio con nomi e cognomi. Se venisse deciso, per esempio, di sbloccare i pagamenti per saldare le sostanziose bollette arretrate (sempre che esistano davvero – del resto lo Stato, a quanto pare, non sa a chi deve quanto) di ministeri, uffici pubblici e degli enti locali all’Enel, davvero si sbloccherebbe l’economia con la creazione di tanti posti di lavoro? O forse sarebbe più opportuno dar la precedenza a imprese di dimensioni più ridotte, che non emettono bond sul mercato obbligazionario (o se lo fanno non registrano il tutto esaurito), che non hanno facile accesso al credito rispetto al colosso energetico e che magari con quei crediti incassati possono garantire il pagamento degli stipendi ai propri dipendenti (i cosiddetti consumatori)?
Forse è per tutti questi dubbi che Squinzi ha stroncato la decisione di Monti (non solo perché sblocca per il 2013 20 miliardi anziché i 48 richiesti da Confindustria), che per certi versi sarebbe suonata come una sua vittoria. Resta il fatto, come ha detto Credit, che il patron di Mapei sarebbe un ottimo Premier. Aggiungo che se Squinzi ora dovesse battersi per dare una corsia preferenziale a quelle aziende che davvero avrebbero bisogno di quei soldi come l’ossigeno e che magari non fanno parte di Confindustria, allora l’Italia avrebbe ritrovato finalmente uno di quegli eroi del Secondo dopoguerra di cui la retorica politica, di destra e di sinistra, finora si è solo riempita la bocca.