Il provvedimento che dà il via libera allo sblocco dei pagamenti alle imprese da parte della pubbliche amministrazioni non è privo di aspetti controversi. Le aziende, dal canto loro, dopo tante promesse sono sospettose. Temono che continueranno non vedere il becco di un quattrino. In Parlamento, poi, c’è chi si sta cercando di opporsi strenuamente all’operazione. Il Movimento 5 Stelle, in particolare, non digerisce il fatto che «una parte dei pagamenti alle imprese confluirà immediatamente al sistema creditizio dato che una quota del portafoglio di debiti risulta già ceduto con il sistema pro solvendo o pro soluto alle banche». Non solo: «Gli interventi programmati prevedono il pagamento di una quota dei debiti relativi alle spese di investimento nell’ordine dello 0,5% di Pil, per cui il livello programmatico dell’indebitamento netto per l’anno 2013 si dovrebbe attestare al 2,9% del Pil», spiega la capogruppo grillina alla Camera, Roberta Lombardi. Abbiamo chiesto a Gaetano Troina, professore di Economia aziendale presso l’Università di Roma tre come stanno, secondo lui, le cose.



L’M5S ha qualche ragione a temere che il provvedimento del governo sia un bluff?

Il problema è che se le imprese hanno già ceduto questi crediti alle banche (fino a quando hanno potuto perché, a un certo punto, le banche non li hanno più voluti accettare), essi sono già stati scontati. Le imprese, quindi, hanno avuto parte della liquidità che spettava loro già a disposizione. Si dà il caso che la scadenza di questi crediti sia ora in mano alle banche, che potrebbero pretenderne il pagamento. E’ evidente che se una parte delle liquidità va a copertura delle esposizioni bancarie, non può più andare al settore produttivo.



Quindi?

Sarebbe opportuno che, in questo momento, si desse la precedenza ai pagamenti in liquidità alle imprese e solo successivamente (perché comunque, non si può certo non pagarle) alle banche. Se così non fosse, le banche, che già sono state parecchio agevolate, negli ultimi mesi, lo sarebbero ulteriormente, mentre le imprese non disporrebbero della liquidità finanziaria che permetterebbe loro di andare avanti. Dovrebbero, quindi, indebitarsi ancora di più. Sempre con le banche. Insomma, hanno bisogno di soldi liquidi, e subito. Anche l’ipotesi di un condono fiscale di entità equivalente ai crediti vantati, ormai, è del tutto irricevibile.



Perché?

Sarebbe potuta andare bene alcuni anni fa. Avrebbe rappresentato una boccata d’ossigeno. Oggi, siamo agli sgoccioli. Le tasse si pagano nel corso dell’anno, le imprese hanno bisogno di soldi subito: per pagare i fornitori, le bollette, i dipendenti. Se ogni giorno chiudono decine di azienda, significa che ogni giorno è già tardi per agire.

 

Un’altra obiezione è che il nostro rapporto deficit/Pil aumenterà fino al 2,9%. Così facendo, ci giocheremmo l’ultimo margine residuo di operatività.

Sarà necessario, in tal senso, lavorare ai fianchi l’Europa per convincere le istituzioni a non calcolare l’impiego di queste risorse nel computo del rapporto deficit/Pil. Dobbiamo sperare che la nostra politica sappia far prevalere le nostre ragioni all’interno delle istituzioni comunitarie. Quel che è certo, è che, effettivamente, si tratta di debiti che esistono. E che sono già a carico dello Stato; quindi, contabilizzati. In ogni caso, sarebbe sufficiente considerare che la soluzione all’aumento del deficit è implicita nell’operazione di restituzione dei crediti alle imprese.

 

Cosa intende?

Posto che erogare liquidità immediata alle imprese avrebbe come effetto, sul breve periodo, di far aumentare il deficit, sul medio-lungo termine otterremmo dei benefici che compenserebbero un tale aumento. E’ auspicabile, infatti, che le imprese, una volta ottenuto ciò che gli spetta, incrementerebbero la propria produttività. In altri termini, il rapporto deficit/Pil tornerebbe a calare, grazie all’incremento del denominatore.

 

(Paolo Nessi)

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