Il tempo è scaduto. Se l’Italia non riuscirà a procedere in tempi rapidi alla formazione di un governo stabile, “rischiamo di non agganciare una ripresa che, comunque, nella seconda parte dell’anno in Europa ci sarà”. L’allarme lanciato dal presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, non poteva essere più chiaro: l’assenza di una chiara guida politica (che al momento è costata al Paese la perdita di un punto percentuale di Prodotto interno lordo, cioè a 1600 miliardi di euro) non potrà proseguire a lungo “senza portare a conclusioni violente”. L’Italia ha quindi bisogno (“non subito, ma subitissimo”, dice Squinzi) di “un governo di uomini di buona volontà che si rendano conto che la situazione economica del Paese è drammatica e che non c’è tempo da perdere”. Con Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison e docente di Economia industriale e commercio estero presso l’Università Cattolica di Milano, commentiamo innanzitutto la delusione espressa nuovamente dal leader di viale dell’Astronomia riguardo il decreto che sblocca il pagamento dei crediti vantati dalle imprese nei confronti della Pubblica amministrazione.



“Ci aspettavamo un po’ più di coraggio. Se non tiriamo fuori il coraggio, il Paese continuerà a essere in grande difficoltà”. Come giudica le parole di Squinzi?

Confindustria aveva già elaborato un piano, presentato nel gennaio scorso, principalmente basato proprio sul pagamento alle imprese del debito accumulato dalla Pubblica amministrazione. Un pagamento però immediato, istantaneo, mentre il progetto concretizzatosi in questi giorni è stato di fatto mantenuto nei binari espressamente richiesti dalla Commissione europea.



Con quali conseguenze?

Innanzitutto il pagamento di questi 40 miliardi di euro è stato diviso in due anni, mentre Confindustria chiedeva l’immediato rimborso di almeno 48 miliardi. Inoltre, i passaggi per giungere all’effettivo sblocco di queste risorse sembrano procedere con estrema lentezza, tanto che appare ormai evidente che entro breve potrà partire solo una minima parte di quanto promesso alle imprese. La delusione di Squinzi è quindi comprensibile: quello che poteva essere uno strumento di rilancio della crescita è stato sostanzialmente depotenziato dalle pressioni della Commissione europea. Confindustria si aspettava da parte dell’attuale governo, seppur uscente, una maggior dose di combattività per negoziare in Europa migliori condizioni.



Come giudica la posizione europea nei confronti dell’Italia?

Molte nazioni, tranne ovviamente l’Italia, sembrano ormai libere di poter agire a piacimento senza dover negoziare nulla. Basti pensare alla Spagna, un Paese con un deficit enorme che però ha ottenuto, praticamente senza contropartite, il salvataggio del proprio sistema bancario. La Francia, invece, è riuscita di fatto ad avere un “salvacondotto” per poter sforare liberamente il deficit, tra l’altro senza mai attuare alcuna politica di austerità.

Non come l’Italia, quindi…

Guardi che l’Italia ha dovuto attuare una politica del genere non perché i conti non fossero in ordine, ma semplicemente perché era in atto una chiara crisi di credibilità del governo Berlusconi: al terzo trimestre 2011, infatti, potevamo addirittura vantare il debito pubblico che era aumentato di meno nel mondo occidentale, in termini percentuali anche meno di quello tedesco. Tornando quindi al tema di partenza, la preoccupazione di Squinzi sta proprio nel fatto che l’Italia, oltre a essere incapace di formare un governo, in un momento come questo non riesce nemmeno a imporsi in Europa quando invece ne avrebbe tutte le possibilità.

 

Oltre ai dubbi espressi da Squinzi, sembra che tra passaggi formali, centrali e locali, siano necessari addirittura 36 provvedimenti attuativi per far decollare i pagamenti alle imprese. La stessa Confindustria ha parlato di “procedure molto complesse”.

E’ la conferma del fatto che ci troviamo di fronte a un provvedimento estremamente lento e farraginoso, tanto da farci ricadere in uno dei problemi di fondo del nostro Paese, già denunciato in più occasioni dallo stesso Squinzi. Sto ovviamente parlando dell’eccesso di burocrazia, capace di frenare l’attività di impresa perfino in un momento come questo in cui le aziende pretendono giustamente di essere pagate. E’ per questo che l’Italia, mai come in questo momento, ha bisogno di un governo capace di recarsi con decisione a Bruxelles per spiegare cosa sta effettivamente accadendo. In caso contrario, rischiamo solamente di gettare al vento un intero anno vissuto tra tasse e pesanti sacrifici.

 

Come se non bastasse, le difficoltà annunciate da Squinzi sono già in qualche modo confermate dai recenti dati Istat relativi alla produzione industriale, a febbraio in calo del 3,8% rispetto allo stesso mese del 2012. Cosa ne pensa?

Le difficoltà sono evidenti, ma il crollo della produzione industriale avviene solo perché il mercato interno è completamente fermo. La Commissione europea continua a dire che il nostro sistema non è abbastanza competitivo, ma una posizione del genere non fa altro che confermare quanto Bruxelles sia distante dalla oggettiva realtà. Quando l’Ue parla di  un “modello di specializzazione delle imprese” italiane, infatti, non fa altro che risploverare un datato armamentario di analisi economica che alcune scuole di pensiero hanno pigramente continuato ad alimentare in questi anni invece di andare a studiare i veri problemi dell’economia reale.

 

Tra cui il calo della domanda interna…

L’export va fortissimo e le piccole e medie imprese stanno facendo i salti mortali, ma se non c’è domanda interna è inevitabile assistere al crollo della produzione industriale, con o senza competitività. Se non saremo in grado di risolvere rapidamente questa vera e propria crisi, iniziando ad esempio a saldare i debiti della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese, allora tutto il pessimismo espresso da Squinzi non potrà che concretizzarsi entro breve tempo.

 

(Claudio Perlini)