“La sfida della compatibilità tra salute, ambiente e lavoro si può vincere e ha bisogno del contributo leale e dell’impegno di tutti”. Il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, ha commentato così la sentenza della Corte costituzionale che ha respinto il ricorso del Gip di Taranto contro la legge salva-Ilva. “Le sentenze della Corte costituzionale si rispettano e non si commentano”, si è limitato invece a constatare il magistrato di Taranto, Franco Sebastio. Ilsussidiario.net ha intervistato Aristide Police, avvocato e professore di Diritto amministrativo.
Per la Corte costituzionale, “le norme sull’Ilva non hanno alcuna incidenza sull’accertamento delle responsabilità nell’ambito del procedimento penale”. E’ davvero così?
Lo svolgimento delle attività di recupero ambientale e d’impresa devono essere ovviamente rispettose della disciplina in materia di tutela ambientale. La legge 231 non introduceva alcuna ipotesi di esenzione né dai controlli, né dalle regole ordinarie della legalità. L’Ilva, come qualsiasi impresa, deve rispettare le regole e le norme in materia anche ambientale. In particolare c’è l’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) che impone determinate condotte e prevede determinate prescrizioni, il cui rispetto è obbligatorio anche per le imprese.
E’ questo il motivo per cui la legge salva-Ilva non è incostituzionale?
La questione di legittimità costituzionale non era su questo profilo. Tanto il governo con il decreto quanto il Parlamento in sede di conversione, avevano ritenuto di poter introdurre le disposizioni che la Corte fa salve e di cui accerta la piena conformità al dettato Costituzionale. In altri termini il decreto consentiva e rendeva operativo lo svolgimento e la gestione dell’attività industriale dell’impresa.
Con quali motivazioni?
Per il fatto che erano presenti ed erano state avviate procedure di autorizzazione e da questa serie di procedure derivavano vincoli per l’impresa e obblighi cui fa riferimento la Corte costituzionale. La Consulta, nel richiamare la persistente presenza di obblighi nel rispetto della normativa ambientale in materia, e delle prescrizioni contenute negli atti di autorizzazione, non fa altro che citare un passaggio della legge salva-Ilva.
Qual era quindi il vero nodo del contendere tra il Gip Sebastio e il governo?
Nel rimettere alla Consulta la questione, il giudice riteneva che si fosse determinata un’ingerenza del potere legislativo ed esecutivo sull’esercizio della funzione giurisdizionale. E’ esattamente questo che la Corte ha escluso nel modo più reciso. Le misure del decreto non incidono sull’esercizio dei poteri della magistratura. Questi ultimi sono fatti giustamente salvi, e quindi come affermano anche i magistrati tarantini, il giudizio continuerà secondo il suo iter ordinario. La norma di cui la procura di Taranto contestava la legittimità costituzionale viceversa riguardava alcune modalità relative all’esercizio di poteri connessi alla disponibilità dei beni prodotti, e allo svolgimento dell’attività in sé. Norme che attengono quindi non allo svolgimento dell’attività giudiziaria, ma ai poteri ordinari e cautelari nell’ambito del sequestro dei materiali.
Che cosa cambierà ora per lo stabilimento di Taranto dopo la sentenza della Consulta?
La sentenza fa salva la legge e quindi preclude l’esercizio di poteri di blocco dell’attività industriale da parte dei giudici che stanno indagando e svolgendo la loro attività ordinaria. I vincoli per Ilva non verranno dalla sentenza, ma dal rispetto dell’Aia. Chi rappresenta le ragioni della tutela dell’ambiente in questa vicenda mette in evidenza l’esigenza del rispetto dell’Autorizzazione Integrata Ambientale. Il decreto era stato emanato per consentire lo svolgimento dell’attività d’impresa, ma non in danno dell’interesse della tutela della salute, bensì in suo vantaggio. Lo svolgimento dell’attività d’impresa consentiva il recupero ambientale, e solo questa ragione ha giustificato l’intervento legislativo.
(Pietro Vernizzi)