I tedeschi non ci disprezzano come spesso siamo indotti a credere. Per lo meno, non tutti. Hans-Peter Keitel, vicepresidente della Confindustria tedesca (già presidente), intervistato da La Stampa ha ammesso che il nostro debito pubblico è sì elevato; ma lo è anche il nostro risparmio privato. Non solo. «Esistono delle forti somiglianze tra il sistema industriale italiano e tedesco. E le imprese del Norditalia non hanno nulla da invidiare alle nostre», ha dichiarato spiegando che, a differenza del nostro Paese, la Germania ha saputo, dieci anni fa, affrontare «riforme incisive e dolorose del welfare che hanno provocato enormi dibattiti. Ma senza di esse, il nostro sistema non sarebbe quello che è oggi». Paolo Preti, direttore del Master della Pmi dello Sda Bocconi ci spiega quanto c’è di vero nelle affermazioni di Keitel.



Keitel ha detto che siamo tutt’altro che un Paese povero, imparagonabile agli altri Paesi del sud Europa. Eppure, la nostra economia, attualmente, versa in condizioni ben più difficili di quella tedesca.

Immagini un condominio in cui alcune pareti sono scrostate, l’ascensore non funziona, il giro scale meriterebbe una rinfrescata: di tutto questo, se ne sarebbe dovuto occupare l’amministratore. Ma non lo ha mai fatto. Nonostante il denaro messo a disposizione dai condomini. La sua inefficienza è dipesa da più motivi: incapacità, disinteresse, inadeguatezza. Magari, ha persino fatto “la cresta” sulle spese. Poi, entriamo nei singoli appartamenti, e troviamo una situazione completamente diversa: le pareti sono appena state imbiancate, l’arredamento è di ottima fattura, non mancano comfort e servizi. Ecco, questa è la situazione dell’Italia: le parti comuni sono conciate male. Quelle private (famiglie e imprese) meglio.



E la Germania?

La situazione, con le dovute proporzioni, è ribaltata. Le parti comuni (servizi, università, trasporti ecc…) funzionano, e sono estremamente innovative; quelle private, sono a un livello inferiore.

Questo da cosa dipende?

Lo Stato drena da famiglie e imprese parecchie risorse. Ma, poi, le sa usare efficacemente.

Eppure, le nostre tasse sono più alte che in Germania.

Sì, ma il nostro amministratore di condominio (lo Stato) è incapace di farle fruttare. Non dimentichiamo, inoltre, che le imposte sono nominalmente alte, ma è altissima anche l’evasione fiscale.

Keitel ha anche affermato che l’economia tedesca sta bene grazie al coraggio che il Paese ha avuto, in passato, nel tagliare il welfare…



Effettivamente, è così. Il Paese è stato capace di guardare al futuro, non lasciandosi fermare dalle difficoltà che si sarebbero determinate nell’immediato. Esattamente come la Gran Bretagna. Con la differenza che, in Inghilterra, il principale fattore del cambiamento fu la politica della Thatcher, in simbiosi con il reaganismo: un connubio che sconfisse il sindacato. In Germania, invece, il sindacato fu artefice del cambiamento. Attraverso la cogestione, si è messo dalla parte dell’interesse nazionale.

 

Tutte cose che mancano in Italia.

Esatto: ciò di cui, in particolare, siamo privi è una politica forte e un sindacato in grado di fare il bene dei lavoratori e delle imprese.

 

Il vicepresidente della Confidustria tedesca ha ammesso che il suo Paese ha ricevuto benefici anche dall’euro. Non trova che ne abbia ricevuti soprattutto dall’euro?

Grazie all’euro, il Paese ha potuto continuare a esportare senza gli svantaggi dell’ipervalutazione che si sarebbero determinati se avesse avuto una moneta nazionale; gli altri Paesi, invece, più deboli nell’export non hanno più potuto agire sulla leva svalutativa. Insomma, non esiste più quel fattore di riequilibrio precedente all’introduzione della moneta unica. Tuttavia, il cambiamento, in Germania, era avvenuto ben prima della nascita dell’euro il quale, al limite, ha congelato una situazione di supremazia economica del Paese.

 

Le risulta che, inoltre, la Germania riesca a esportare più e meglio di noi?

Direi di sì. La Germania è arrivata in Cina, ai massimi livelli, già almeno 15 anni fa. Inoltre, molte aziende tedesche sono sbarcate nei paesi emergenti per conquistarne il mercato e non come facciamo noi – delocalizzando – per avvantaggiarci di costi di produzione più bassi.

 

Ha ragione Keitel quando dice che, in sostanza, la politica deve rimuovere gli ostacoli per la libertà d’impresa?

 Indubbiamente, il pubblico dovrebbe lasciare libero il privato. Ovvero, dovrebbe eliminare tutta quella serie di vincoli amministrativi, burocratici e procedurali che gli impediscono di agire. 

 

(Paolo Nessi)