Il 19 aprile 2013, giorno della riunione del G20 svoltasi a Washington, rimarrà come una data storica nell’economia mondiale. In quella sede, con l’appoggio fondamentale del Fondo monetario internazionale e della sua Presidente Christine Lagarde, è stata totalmente cambiata la linea di politica economica perseguita in questi ultimi anni. Riunitisi nella capitale nordamericana, i grandi della Terra hanno con grande vigore dato la loro benedizione alla svolta che il Primo Ministro giapponese Shinzo Abe ha imposto alla Banca centrale del suo Paese. Il primo nemico dichiarato è ora la deflazione e il primo ostacolo da superare sono le politiche di austerità che sono dilagate in tutto il mondo con i terribili esiti che su queste pagine abbiamo a lungo commentato.



La Banca centrale giapponese continua la sua strategia espansiva nella politica monetaria e anche se essa ha tra i suoi effetti la svalutazione dello yen nessuno in quella sede ha parlato di guerre valutarie e di necessità di mantenere forti monete con conseguenti debole economie. Naturalmente nel corso della riunione non si sarà mancato di commentare lo scandalo scientifico e morale della frode statistica compiuta da due gettonati economisti di Harvard: Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, autori del famoso paper da me molte volte criticato e contestato “Growth in a Time of Debt”, in cui si sosteneva la tesi che il principale ostacolo alla crescita era il debito pubblico. Da più fonti e da più autorevoli voci, l’ultima quella di Paul Krugman, ora giungono contestazioni puntigliose ai dati statistici ivi contenuti e alle tesi di politica economica che ne sono seguite.



Non a caso Paul Krugman sull’Herald Tribune del 20-21 aprile ha intitolato il suo corrosivo articolo “The Excel Depression”. Questo disvela non tanto le falla di basi scientifiche su cui abbiamo costruito una cura peggiore del male, ma disvela soprattutto la fabbrica della menzogna che ha le sue officine nei principali quotidiani internazionali e negli uffici studi delle banche d’affari e degli organismi economici internazionali, la cui credibilità da questa vicenda esce distrutta.

Il problema è però che i guai sono già stati compiuti. I dati diffusi giorni orsono da Unioncamere che parlano di circa 31.000 aziende scomparse in Italia sono eloquenti e non è un caso che quelle più colpite tra esse siano le imprese artigiane. E questo non per un motivo semplicemente economico, ma sociale. Infatti, la cura dell’austerità distrugge la società come i contratti a termine dei giovani distruggono la famiglia. E questo perché le imprese artigiane sono quelle che più si fondano sulla cellula costitutiva della società e della demolizione di essa per eccesso della depressione ne subiscono immediatamente le conseguenze.



Va notato, inoltre, che dai dati statistici emerge una pericolosa evidenza: la diminuzione delle nuove imprese. Questo significa che la deflazione inizia a presentare il suo conto, con l’abbassamento dei margini di profitto, il crollo dei prezzi, il crollo dei consumi. Un cambiamento della politica economica europea si impone. La Bce deve quanto prima iniziare a operare come la Fed e le altre banche centrali, come ci insegna il caso giapponese. Ma per far questo, ossia per cambiare la politica europea, bisogna esistere come Paese, anzi bisogna esistere come nazione.

In Italia, invece, sta succedendo esattamene il contrario. La nazione si rivela inesistente e il Paese si sta disgregando come dimostra il dramma che si è svolto a Roma in merito all’elezione del Presidente della Repubblica. E non è un caso che coloro che hanno sostenuto la politica dell’austerità siano gli stessi che stavano per determinare il più pericoloso crollo istituzionale a cui la Repubblica italiana potesse mai assistere.