Il peggioramento delle prospettive di crescita ha pesato sulle condizioni più difficili di accesso al credito per le Pmi in Italia più che altrove nell’Eurozona. È quanto ha riferito ieri la Banca centrale europea che ha segnalato il peggioramento di utili e fatturato fra ottobre 2012 e marzo 2013. Le Pmi italiane e spagnole sono al top in questa triste graduatoria. Quelle italiane, poi, “hanno contribuito più di tutte all’aumento netto della necessità di prestiti bancari e aumento dello scoperto”. Fra ottobre 2012 e marzo 2013, del resto – aggiunge la Bce – le piccole e medie imprese di tutta l’Eurozona hanno visto “un aumento delle necessità di finanziamento” accoppiato a “un peggioramento della disponibilità di prestiti bancari”, quest’ultimo tuttavia in fase di attenuazione. L’economista e banchiere Ettore Gotti Tedeschi – intervistato da ilsussidiario.net – interviene a riguardo e ricorda la sua proposta di riforma per la crescita lanciata lo scorso anno anche attraverso le pagine de Il Corriere della Sera (10 maggio 2012), messa a punto nel 2011, quando era consigliere dell’allora Ministro dell’economia Giulio Tremonti. Ricordiamo che da gennaio 2013 sono circa 5.000 le imprese che hanno chiuso (circa 100 al giorno). Tale progetto per la crescita poggia su un catalizzatore, un intermediario che sappia raccogliere questa fetta di risparmio, garantirla, investirla e controllarla. Gotti Tedeschi non ne fa il nome, ci dice soltanto che tale Istituzione deve essere una struttura credibile, prestigiosa, pubblica-privata, soprattutto esperta ed efficiente, e che in Italia questa Istituzione esiste. Tutto fa pensare che si riferisca alla Cassa Depositi e Prestiti.
In più di un’occasione, lei ha lanciato una significativa proposta per la crescita. Qual è la sua posizione oggi, riferita al particolare momento in cui si trova il Paese?
Di fatto è la stessa, con maggior preoccupazione per i ritardi con cui questi temi vengono consapevolmente affrontati. Peraltro questa considerazione mi pare condivisa con il Presidente Napolitano: “Mentre a Roma si discute, Sagunto viene assediata e distrutta…” A fine 2011 è stato fatto un governo tecnico per risolvere problemi che il governo politico non sapeva (ma è vero?) affrontare. Oggi, soltanto, riconosciamo che abbiam perso più di un anno e rischiamo di perderne due. La domanda è: si possono fare queste riforme nel Paese in questo momento?
Lei cosa ne pensa?
La storia economica italiana ha visto crescere l’economia del Paese con un sempre più forte ruolo dello Stato e di modelli di welfare assistenzialistici. Preparare il Paese all’ingresso nell’euro e nel mercato globale ha preteso cambiamenti che, secondo me, mal concepiti e gestiti, hanno indebolito la competitività dello stesso. Quando nel 2008 ci si rende conto che si è prodotto un nuovo ordine economico mondiale dove l’Occidente si è deindustrializzato perdendo competitività e rischiando disoccupazione e si decide di reagire, si impongono rapide riforme drastiche da realizzare in tempi brevissimi per ridare competitività ai paesi (Italia in primis).
Ma le riforme si fanno con successo quando l’economia va bene non quando va male, altrimenti si rischia di peggiorarla…
Per questa ragione preparai un progetto che focalizzava la crescita del Pil piuttosto che la decrescita dei costi e del debito. Purtroppo la “caduta” del governo rese impraticabile il progetto. Detto progetto, ancora attuale, si fonda su più presupposti.
Quali?
1) si deve fare sviluppo economico per migliorare il rapporto debito / Pil; 2) il debito del Paese non è solo quello sovrano, oltre a questo c’è il debito delle banche, delle imprese, delle famiglie; e se questi tre ultimi non sono pagati lo stato li nazionalizza così che tutto diventa debito sovrano (l’esperienza Usa lo spiega); 3) per fare sviluppo Pil reale bisogna considerare i veri vantaggi competitivi di un paese nel contesto internazionale ove opera; 4) i due maggiori vantaggi italiani, in tal senso, sono le Pmi e il risparmio delle famiglie, che è il petrolio italiano.
E poi?
5) le Pmi italiane sono invidiate in tutto il mondo, ma sono sottocapitalizzate per poter fare piani aggressivi; se fossero capitalizzate (quelle trainanti) riceverebbero finanziamenti bancari, attrarrebbero altri capitali, potrebbero fare piani di crescita, di occupazione, di creazione di reddito tassabile e perciò di diminuzione debito pubblico; 6) la soluzione per salvaguardare crescita economica, occupazione, credito bancario, diminuzione debito, e salvaguardare lo stesso risparmio sta nell’utilizzare il risparmio (che altrimenti verrebbe sprecato, tassato, sarebbe oggetto di patrimoniali che servirebbero solo a crescere la spesa di stato) verso l’investimento produttivo interno al paese, convogliandolo in un modo ben studiato verso la capitalizzazione delle Pmi meritevoli.
Quale struttura potrebbe raccogliere questo risparmio e convogliarlo in un’ottica di crescita?
Chi potrebbe raccogliere in modo adeguato e credibile detto risparmio è una struttura governativa che lo garantirebbe, darebbe una minima remunerazione, saprebbe strutturare un prestito obbligazionario convertibile a dieci anni, ecc. Si dirà che questo rappresenta una coercizione: sì, ma cosa è invece una patrimoniale? O un prelievo forzoso tipo Cipro? Si dirà che è rischioso: sì, ma è più rischioso non farla perché non si saprebbe come produrre occupazione e crescita. E in più non si saprebbe come difendere e valorizzare il risparmio italiano che andrebbe altrimenti tassato e sprecato per “chiudere buchi di bilancio” anziché esser investito per creare occupazione e ricchezza, e ridurre conseguentemente il rapporto debito/Pil. E investito anche con prospettiva di remunerazione e capital gain a dieci anni. Se questa crescita di valore non ci fosse peraltro significherebbe che non ci sarebbero neppure più i nostri risparmi, no?
Ma ci può dire a quale istituto bancario allude?
No, non ho intenzione di fare questo nome.
Tale istituto potrebbe avere un ruolo attivo, attraverso un sistema di fundraising concertato con lo Stato che non si traduca in tasse ulteriori, nel pagamento dei debiti verso le imprese?
L’obiettivo del mio progetto è ricapitalizzare (con un convertibile) le imprese per poter permetter loro di avviare piani strategici aggressivi. I debiti dello Stato vanno pagati riducendo quella parte di sprechi che si cerca in ogni modo di occultare e che non creano disoccupazione.
Ritiene che la KfW tedesca (omologa alla Cdp italiana) sia un soggetto con caratteristiche interessanti per il nostro sistema economico?
No io penserei piuttosto a una Imi (Istituto mobiliare italiano, ndr). Vede, noi in Italia abbiamo avuto, da molto tempo, un calo di investimenti. Senza investimenti non si fa sviluppo sostenibile. Ma per fare investimenti, privati e pubblici, ci vogliono soldi, e non ci sono (o non si vogliono investire per rischio). In più gli investimenti sono a medio lungo termine. Le banche raccolgono a breve e devono investire a breve, perciò ciò che manca è il credito a medio lungo termine. È vero che si possono emettere obbligazioni, ma queste hanno una scadenza e non si può prevedere cosa succederà a detta scadenza. Ecco l’importanza di un istituto di finanziamento a medio e lungo termine, una Imi. Oggi è surrogato da istituzioni quali F2i che investono equity, trainano altro equity e strutturano finanziariamente il progetto.
Si dice che le fondazioni in bancarie svolgano una funzione tutt’altro che virtuosa all’interno del sistema bancario italiano. Qual è la sua idea?
Vede, le Fondazioni non sono tutte omogenee e assimilabili. Le Fondazioni han svolto il ruolo mancante di Fondi pensione, hanno sempre avuto due anime, quella di necessario azionista di riferimento della banca e quella di elargitore di risorse per la collettività. Vi sono Fondazioni che, grazie alla loro gestione, han saputo crescere e valorizzare il proprio patrimonio, per il beneficio comune, altre meno. Vi son Fondazioni che han valorizzato la banca partecipata e altre meno. Vi son Fondazioni che son state indispensabili per tante attività nel sociale, nel volontariato, nella cultura, ecc., altre meno. La mia idea è che, a parte alcuni casi, le Fondazioni abbiano ben svolto un ruolo virtuoso nel Paese. Spesso mi son domandato cosa sarebbe successo al patrimonio delle banche trasformate in S.p.A. se non si fossero fatte le Fondazioni.
Cosa sarebbe successo secondo lei?
Sarebbe diventato “meno debito pubblico”? Io quando penso a quel che ha fatto Giuseppe Guzzetti con Fondazione Cariplo, non posso altro che compiacermi che abbia potuto farlo. Molti altri commenti mi ricordano “la favola della volpe e l’uva”.
(Giuseppe Sabella)