Nonostante l’ipotesi di anticipare al 2013 l’aumento dell’addizionale Irpef regionale sia stata (a quanto pare) definitivamente esclusa dal decreto che sbloccherà i 40 miliardi di euro che lo Stato deve alle imprese, è stato deciso che il Consiglio dei ministri previsto per la serata di ieri “si terrà nei prossimi giorni”. A comunicarlo è Palazzo Chigi, spiegando che il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, in accordo con il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, anche a seguito delle articolate risoluzioni approvate martedì da Camera e Senato, ha fatto presente al Presidente del Consiglio l’opportunità di proseguire gli approfondimenti necessari per definire il testo del decreto sui pagamenti dei debiti commerciali della PA. Quali siano questi “approfondimenti” non è dato saperlo, ma di certo non dovrebbero riguardare l’addizionale Irpef regionale il cui possibile aumento aveva sollevato un polverone nei giorni scorsi, tanto da spingere il viceministro del Lavoro Michel Martone a smentire tutto: “Stando alle risoluzioni approvate ieri in Parlamento, l’aumento delle imposte per i cittadini non risulta agli atti, anche perché c’è stata una presa di posizione molto forte di tutti i partiti. Si tratta di indiscrezioni giornalistiche”. In attesa di conoscere la data del tanto atteso Consiglio dei ministri, abbiamo fatto il punto della situazione con Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre.



Come giudica il decreto che, in teoria, dovrebbe essere varato “nei prossimi giorni”?

Il mio giudizio è ovviamente positivo, ma il fatto di essere arrivati a questo punto con un ritardo del genere è del tutto inaccettabile. E’ vero che gli italiani sono abituati a sopportare tutto, ma non è affatto possibile che lo Stato abbia maturato debiti per 90 miliardi di euro che equivalgono a quasi 6 punti di Pil e, come se non bastasse, si sia sempre ostinato a non voler pagare le aziende e tutti i loro dipendenti. Come mai, mi chiedo, i dipendenti statali hanno sempre ricevuto regolarmente lo stipendio e invece tutti gli altri, in molti casi, ne hanno dovuto fare a meno? Non si fa altro che parlare di equità, ma francamente non so proprio dove sia. Vorrei inoltre sottolineare un dettaglio non trascurabile.



Quale?

Le aziende italiane sono costrette a pagare gli stipendi e i contributi previdenziali perché, in caso contrario, non possono più andare avanti. Per ogni lavoro svolto, infatti, deve essere presentato il DURC, vale a dire il documento unico di regolarità contributiva (l’attestazione dell’assolvimento, da parte dell’impresa, degli obblighi legislativi e contrattuali nei confronti di Inps, Inail e Cassa Edile, ndr). La Pubblica amministrazione, ovviamente molto severa quando serve, impedisce che vengano pagate prestazioni se la ditta non dimostra di aver pagato stipendi e contributi ai propri dipendenti.



Sarebbe giusto se lo Stato non avesse tutti questi debiti nei loro confronti…

Esatto, perché come se niente fosse lo Stato ha evitato di pagare 90 miliardi di euro. Perché allora l’Italia non ha fatto come la Spagna?

A cosa si riferisce?

L’anno scorso la Spagna, “armata” di documento di programmazione economica finanziaria, ha ottenuto la deroga dall’Unione europea e nel giro di otto mesi, lo stesso tempo in cui l’Italia è riuscita a pagare appena qualche centinaio di milioni, ha distribuito ben 27 miliardi di euro. Come mai questo non avviene nel nostro Paese?

Secondo lei perché?

Forse è stato semplicemente sottovalutato il problema, oppure sia la procedura che l’atteggiamento italiani, soprattutto in Europa, si sono rivelati completamente inadatti, perché altrimenti non si spiega come un Paese come la Spagna, con un rapporto deficit/Pil al 6% circa, possa ottenere la deroga ed effettuare un’operazione del genere. Resta però il fatto che, mentre aspettiamo, le attività commerciali continuano a chiudere, gli imprenditori falliscono e in molti casi si tolgono la vita. E, paradossalmente, non perché sono coperti di debiti, ma perché non riescono a riscuotere i loro crediti.

 

Crede che questi 40 miliardi potranno intanto rivelarsi sufficienti?

Come dicevo, seppure largamente tardivo, il decreto è comunque positivo. E’ però ovvio che questi 40 miliardi che verranno distribuiti in due anni (20 quest’anno e altri 20 il prossimo), a fronte di un debito complessivo di 90 miliardi, non sono affatto sufficienti. Anche perché è probabile che in questo lasso di tempo lo stesso debito possa addirittura aumentare ulteriormente. Meglio tardi che mai, questo è certo, ma quanto potranno resistere le aziende che verranno escluse da questi pagamenti, visto che parliamo di imprese che nonostante tutto continuano a pagare tasse, stipendi e contributi? Ben venga il decreto, ma di certo non è abbastanza.

 

Cosa ha pensato quando si parlava dell’addizionale Irpef regionale?

Introdurre una cosa del genere darebbe stato gravissimo. L’aumento dell’Iva, la Tares, l’Imu sui capannoni e quella sulla prima casa che forse non verrà abolita: tutte misure che inevitabilmente vanno a comprimere ancor di più i consumi. Si parla tanto di ripresa, ma se l’Italia vuole davvero rialzarsi deve puntare solamente ad aumentare i consumi, quelli che sostengono le piccole e medie imprese che compongono il nostro tessuto economico. Tra le innumerevoli tasse che già abbiamo, un’addizionale Irpef avrebbe solamente confermato le difficoltà italiane nell’aiutare le proprie imprese e far ripartire lo sviluppo.

 

(Claudio Perlini)