L’eventuale abolizione dell’Imu, o per lo meno della prima rata, non solo è tutt’altro che certa, ma sarebbe anche una ben magra consolazione. Il governo, infatti, ha parlato esclusivamente della cancellazione dell’imposta sugli immobili a uso abitativo. Anzi, sulla prima casa. Resteranno fuori dal provvedimento tutte le seconde case, ma, soprattutto, gli immobili di cui si avvalgono le imprese per esercitare le proprie attività che, rispetto all’Ici, subiranno un esborso decisamente superiore. E le nostre imprese, si sa, ultimamente non navigano in buone acque. Come se non bastasse, la Cassa depositi e prestiti ha fatto sapere che «nell’ambito della procedura prevista relativa allo sblocco dei pagamenti della pubblica amministrazione, ha ricevuto un totale di circa 1.500  domande di anticipazione di liquidità, per un importo complessivo di circa 6 miliardi di euro». Peccato che l’importo del Fondo dedicato agli Enti locali sia di 4 miliardi, 2 per il 2013 e 2 per il 2014. Insomma, i soldi non bastano. E lo Stato continua a prendere senza sosta, e a non restituire quello che spetta di diritto alle aziende. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre.    



Le imprese italiane rischiano di trovarsi ulteriormente in sofferenza a causa dell’Imu?

Effettivamente, gli immobili di natura produttiva (ovvero, esercizi commerciali, hotel, fabbricati a uso industriale, capannoni, stabilimenti balneari, teatri, cinema, ecc…) subiranno un aumento significativo, mediamente del 30-40% con punte del 140%. Si prevedono, inoltre, particolari vessazioni per i capannoni.



Perché?

Perché si tratta dell’unico fabbricato la cui aliquota fissa (0,76%) sarà versata interamente allo Stato. Il Comune, che dispone della facoltà di aumentarla fino a un massimo dell’1,76% potrà trattenere esclusivamente tale quota eccedente. Per i capannoni (categoria catastale D1) abbiamo calcolato che il maggior esborso rispetto all’Ici varierà da un minimo del 13,1% (Asti) a un massimo del 154,4% (Milano). Complessivamente, si determinerà, a livello nazionale, un incremento medio del 67%.

Nel frattempo, lo Stato non riesce a onorare i propri debiti…

L’impianto generale del provvedimento che dovrebbe sbloccare i crediti per le imprese è del tutto inadeguato alla situazione. Lo Stato, infatti, ha stanziato 40 miliardi in due tranche da 20 miliardi, da erogarsi nel 2013 e nel 2014. Ma si tratta di debiti già scaduti da mesi, se non addirittura da anni. Molte delle imprese che aspettano di ottenere ciò che gli spetta da così tanto tempo sono in debito di ossigeno e, prima di avere i propri soldi, chiuderanno. Tanto più che le procedure per certificare e ottenere i crediti sono estremamente lunghe e farraginose. Come se non bastasse, 40 miliardi sono una cifra del tutto incongrua.



 

Ci spieghi perché.

La Banca d’Italia ha stimato che i soldi che lo Stato deve alle imprese ammontano a 71 miliardi di euro. Tuttavia, ci ha tenuto a precisare che la sua indagine si limita alle aziende con più di 20 dipendenti (mentre la stragrande maggioranza delle imprese italiane è sotto i 20) e che le rilevazioni si fermano al 31 dicembre 2011.

 

Quanti sono, quindi, i crediti che le pubbliche amministrazioni devono alle imprese?

Abbiamo calcolato per difetto che mancano all’appello circa 120-130 miliardi di euro.

 

Come evolverà la situazione?

Abbiamo applicato il rigore, rispettato i parametri, siamo rientrati dalle procedure d’infrazione. Tuttavia, la disoccupazione supererà il 12%, mentre il Pil crollerà dell’1,5%. Se non ci saranno segnali concreti, il quadro è destinato a peggiorare. A questo punto, tutto si gioca a settembre, quando ci saranno le elezioni in Germania. Sarà allora che, forse, disporremo dei margini per allentare realmente le politiche di rigore e introdurre fattori di crescita. Nel frattempo, si spera che il governo sia in grado di fornire alcuni segnali importanti: penso, in particolare, all’abolizione dell’Imu sulla prima casa per i redditi bassi, al reperimento delle risorse per la Cassa integrazione in deroga e all’allentamento del patto di stabilità interno.  

 

(Paolo Nessi)