La Camera dei deputati ieri ha votato il decreto legge che sblocca i pagamenti della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. L’ipotesi di reperire i fondi necessari attraverso una tassa sulle sigarette elettroniche è stata bocciata a inizio seduta, e il dibattito si è quindi concentrato sul “patto di stabilità verticale” presente nel testo licenziato dalla commissione Bilancio. Ilsussidiario.net ha intervistato Giuseppe Bortolussi, direttore della CGIA di Mestre.
Ritiene che il testo votato ieri rappresenti una svolta positiva per le imprese italiane?
Per prima cosa occorre fare chiarezza sui numeri. L’ammontare complessivo dei debiti della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese è pari a 120-130 miliardi di euro. La stima della Banca d’Italia basata su un’indagine campionaria è pari a 91 miliardi di euro, ma da questa cifra mancano le piccole imprese al di sotto dei 20 addetti. L’indagine campionaria è ferma inoltre al 31 dicembre 2011 e mancano tutte le aziende che hanno lavorato per l’assistenza e per la sanità. Lo Stato è in affanno per pagare la prima tranche dei debiti pari a 20 miliardi di euro.
La Camera però ha votato sui tagli lineari alla spesa dei ministeri…
Mi domando quanto pensano di poter risparmiare con questi tagli ai ministeri: probabilmente soltanto 2 o 3 miliardi di euro. Letta ha dichiarato che un grande viaggio inizia con un primo passo, ma stiamo parlando di un rapporto che è di 2 a 130. La legge sui pagamenti dei debiti della Pubblica amministrazione dimostra una certa buona volontà, ma ritengo che non ci sia molto altro.
Secondo lei, come bisognerebbe fare?
Il problema è che quando ci si infila in un vicolo cieco poi è difficile andare avanti, e a quel punto l’unica strada è tornare indietro. Bisogna, per esempio, partire dal dato di fatto che tra 2001 e 2010 la spesa per la Pubblica amministrazione è cresciuta di 40 miliardi l’anno. Ora lo Stato sta cercando di correre ai ripari, ma fino ad adesso hanno lasciato che tutti facessero quello che volevano. Mi domando inoltre per quale motivo sia necessario ricorrere ai tagli lineari, quando era possibile intervenire prima in modo selettivo fermando l’incremento della spesa della Pubblica amministrazione.
Ora però per le aziende inizierà ad arrivare della preziosa liquidità.
Basta fare un calcolo banale, per comprendere che al ritmo di 20 miliardi l’anno saranno necessari in tutto sei anni per pagare in totale 130 miliardi di debiti già scaduti. Ciò significa che gli ultimi imprenditori riceveranno i soldi nel 2019. Un’azienda ha realizzato il lavoro, ha pagato gli operai e ha fatto tutte le spese, ma deve aspettare le calende greche per ricevere i suoi soldi.
Quindi quale via d’uscita ci resta?
L’unica via d’uscita praticabile è che il governo italiano spieghi all’Europa come stanno realmente le cose e ottenga di allargare i cordoni della borsa. Il nostro Paese ha già messo in atto il rigore, rientrando dal deficit prima degli altri Paesi, mentre la Francia dal 2014 ritornerà a un rapporto deficit/Pil pari al 4,2% come nel 2012. Secondo i dati Ue, invece, l’anno prossimo l’Italia scenderà al 2,5%. E’ quindi necessario che si crei una situazione che permetta di resistere per almeno due o tre anni.
C’è almeno un aspetto positivo nel decreto legge votato ieri a Montecitorio?
Ritengo condivisibile la proposta di accentuare l’aspetto delle compensazioni tra debiti e crediti. Da un lato c’è l’impresa che avanza le tasse, dall’altra lo Stato che avanza il pagamento dei debiti e le due cifre si compensano tra di loro. Si tratta di un’operazione molto più semplice, lineare e credibile. Se ci fosse quindi un insieme di provvedimenti che comprenda i tagli ai ministeri, un’operazione pari a non più di 2 o 3 miliardi di euro, le compensazioni tra debiti e crediti e un po’ di spazio di manovra in più concesso all’Ue, pari per esempio a circa 10 miliardi l’anno, le nostre imprese inizierebbero a vedere la luce fuori dal tunnel.
(Pietro Vernizzi)