Finalmente le politiche per l’occupazione sono state messe in priorità sia in Italia che in Europa. Ma il motore reale che crea nuovi posti di lavoro, e difende quelli esistenti, è, ovviamente, la crescita economica. Nell’Eurozona, a causa della prevalenza del criterio di ordine contabile nei bilanci pubblici sulla stimolazione del mercato, la ripresa sarà molto lenta, quasi una stagnazione prolungata. Pertanto la speranza che regole meno rigide, e forse meno pesi fiscali, sul lavoro incrocino le opportunità fornite da una spinta dei mercati, generando più occupazione, risiede principalmente nell’export e negli effetti indotti sul mercato interno.
Ciò porta l’attenzione verso l’analisi del mercato globale per valutare quanto e se tirerà la domanda di beni esportati dalle imprese italiane: considerando anche che la buona salute o meno dell’economia mondiale implica un aumento o decremento dei flussi turistici extraeuropei verso l’Italia, questa una componente rilevante del nostro Pil.
La scorsa settimana un brivido ha percorso l’economia mondiale: le due locomotive asiatiche, la Cina per la domanda di importazioni e il Giappone per il contributo che i suoi capitali in uscita stanno dando alla crescita delle Borse mondiali, hanno mostrato segni di inceppamento. A questi si è aggiunto un segnale che la Banca centrale statunitense (Fed) sta iniziando a valutare il momento e il modo giusti per chiudere la politica di massima stimolazione finanziaria all’economia reale che mantiene dal 2008, rinnovandola continuamente, che implica un forte rischio teorico di inflazione.
In sintesi, gli attori economici temono che stia arrivando alla fine l’azione che ha fatto uscire l’economia mondiale dalla crisi, cioè inondare di liquidità il mercato incentivando una bolla borsistica nella speranza che poi questa tiri la ripresa dell’ottimismo e dell’economia reale. Per l’Eurozona e l’Italia il rischio è che l’economia globale ricada in crisi mentre tali sistemi sono ancora in recessione.
È un rischio reale e imminente? Non pare imminente. L’America continuerà le politiche espansive fino a che riporterà la disoccupazione sotto il 6,5%. La Cina, che soffre la riduzione dell’export verso America ed Europa e per questo importa di meno, varerà entro fine anno un piano per far crescere di più il suo mercato interno.
Pertanto contrazione e sbolla globali non sono vicine. Ma il rischio resterà e ciò rende razionale e urgente per Italia ed Eurozona diventare meno dipendenti dall’esterno e rivitalizzare i loro mercati interni ora stagnanti.