Vorrei tramutare questo articolo in una lista di osservazioni, constatazioni e consigli che vorrei sottoporre al neonato governo, partendo dal seguente presupposto: la Germania sta colonizzando, silenziosamente, il sud Europa, Italia compresa e creando le basi per un’egemonia di cui i paesi periferici pagheranno il conto a livello permanente. Prima di entrare nel merito, qualche numero per trattare il quadro macro generale. Il tasso d’inflazione core dell’eurozona – quello che esclude generi alimentari e spese per energia – è sceso all’1% a marzo, un dato molto al di sotto delle aspettative e che lascia l’unione monetaria con un cuscinetto di sicurezza molto ridotto. Per Lars Christensen, esperto monetario alla Danske Bank, «l’eurozona sta replicando l’esperienza del Giappone di metà anni Novanta, un rischio reale e grave di precipitare nella deflazione». Inoltre, il fatto che subito dopo il crollo di Lehman Brothers il tasso d’inflazione core fosse un po’ più basso di quello attuale non deve ingannarci: la figura attuale è distorta dagli effetti una tantum degli aumenti dell’Iva e delle accise legati ai programmi di austerity dei vari governi. Aggiustiamo questo dato e scenderemo allo 0,4% reale. Per Julian Callow di Barclays, «la Bce dovrebbe essere preoccupata. Se dovesse concretizzarsi un altro shock di una certa entità, l’eurozona dovrà affrontare il rischio di precipitare in una trappola deflazionista. Il pericolo è quando la deflazione si combina con alto indebitamento e deleverage, divenendo tossica. Questo aumenta il rischio di una spirale debito-deflazione e avvertiamo già segnali in tal senso nell’Europa del sud».
In effetti, il Pil nominale – ciò che i monetaristi ritengono la chiave di lettura per le crisi dei debiti sovrani – è sceso dell’1,8% in Spagna e dell’1,2% in Italia lo scorso anno, questo significa che il peso del debito sta salendo molto in fretta su una base in contrazione. Per David Owen della Jefferies Fixed Income, il mix di inflazione in calo e invecchiamento della popolazione rischia di spingere l’eurozona in una trappola di liquidità, dove i meccanismi di auto-correzione dell’economia crollano: «Siamo a un livello di similitudine molto alta con il Giappone di 15 anni fa». Per David Owen la ricetta è una sola: «La Bce deve lanciare un pesante programma di quantitative easing, in stile Fed». Ma questo sappiamo che non accadrà, i comodi fantasmi di Weimar continuano a essere una rendita di posizione per la Bundesbank.
Dati della Bce parlano chiaro: la massa monetaria M3 nell’eurozona si è contratta a marzo, mentre i prestiti verso privati sono scesi di un ulteriore 0,8%. Lo conferma Tim Congdon dell’International Monetary Research: «La crescita della moneta negli ultimi tre mesi è stata molto debole, lo squilibrio tra Germania e il resto dell’eurozona si sta intensificando». Stiamo parlando di una contrazione anno su anno della massa monetaria M3 del 2,6%, una frammentazione drammatica che di fatto già ci consegna un’Europa a due velocità e che rende totalmente inutile il taglio dei tassi da parte di Mario Draghi, visto che quelli overnight sono praticamente già a zero ma la domanda è inesistente, sintomo evidente di bilanci bancari quantomeno in sofferenza. Oggi, poi, anche andare a zero sul tasso principale di rifinanziamento rischia di non bastare, stante l’obbligo di ripagare quanto preso in prestito nelle aste Ltro, il deleveraging e l’assenza di assets eligibili come collaterale accettabile per operazioni di finanziamento.
Bene, veniamo ora all’assunto di partenza. Chi beneficia di questo quadro di bassissima inflazione, contrazione della massa monetaria e inceppamento della trasmissione del credito, con le aziende del Nord annegate di liquidità a basso costo e quello del Sud costrette a finanziarsi a prezzi altissimi, quando riescono a farlo prima di fallire? La Germania. Lo ha detto chiaro e tondo, qualche tempo fa, il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, il quale ha ammesso che «la Germania ha beneficiato dell’euro più di altri». E come? Attualmente attraverso le Pmi, le cosiddette “mittelstand”, spesso e volentieri a carattere familiare e concentrate soprattutto nel sud del Paese, le quali comprano a prezzo di saldo concorrenti del sud Europa, ammazzando quindi il mercato, la concorrenza e le economie stesse di paesi già in crisi.
È quella che la Reuters ha definito la una lenta e incruenta invasione tedesca dell’Europa, una strategia nemmeno troppo nascosta che potrebbe essere prodromica alla nascita di una nuova Ue, un assetto completamente diverso. Non solo l’export sta tenendo in vita e anzi facendo prosperare le piccole e medie aziende tedesche, ma le riforme del mercato del lavoro cui le nazioni sotto salvataggio sono state costrette dai diktat della troika, stanno creando un modello tedesco in tutta Europa, rendendo positivo e anzi conveniente per le pmi germaniche fare shopping tra i cosiddetti periferici. Non è un caso che la nazione che sta subendo meno questa invasione sia la Francia, certamente non in salute (56% del Pil in spesa pubblica) ma assolutamente ferrea nel non farsi colonizzare, a costo di nazionalizzazioni mascherate e vincoli anti-concorrenza che l’Ue sembra non vedere (fino ai magheggi sul collaterale con il programma Step per finanziare le sue banche). Insomma, per le Pmi tedesche sane e piene di soldi liquidi, la crisi si sta tramutando in un’opportunità, basti vedere le acquisizioni senza freni che stanno compiendo in Spagna in questi mesi.
Si compra tutto, non solo aziende concorrenti profittevoli ma fiaccate dalla crisi ma anche clienti e fornitori, il tutto a prezzo di sconto, visto il livello di difficoltà di finanziamento che le Pmi stanno affrontando nel Sud Europa. Non lo dice il sottoscritto, che qualcuno dipinge come un anti-tedesco viscerale solo perché non si beve i diktat della Bundesbank come fossero il Vangelo, ma Christoph Himmelskamp, consulente dell’agenzia Roedl&Partner che cura gli interessi di Pmi tedesche negli accordi con controparti spagnole: «Per le aziende tedesche finanziariamente forti, la crisi sta tramutandosi in una grande opportunità, sono infatti sempre più attive a livello di acquisizioni in Spagna». Lo stesso Himmelskamp dichiara che ha potuto notare un aumento del 30-40% delle acquisizioni tedesche di aziende spagnole dal 2009 a oggi, cioè da quando la crisi greca mandò sinistri scricchiolii: «Lo stato d’animo è stato un po’ raffreddato soltanto dalle voci, circolate per un po’, di una possibile uscita della Spagna dall’euro, a quel punto infatti alcuni nostri clienti tirarono il freno sugli affari. Una volta chiusa la discussione, gli investimenti sono ritornati».
La AZ Group, un’azienda tedesca, lo scorso anno ha acquisito il competitor italiano Fiber, attivo nella produzione di prodotti elettronici ed elettromeccanici (tra cui motori, temporizzatori, contatori e simili), alle soglie dell’insolvenza, mentre sempre lo scorso anno il produttore di materiali SGL Carbon ha acquistato l’azienda portoghese leader nel campo delle fibre, Fisipe. E ancora, la Happich, che si occupa di allestimento di interni di bus e pullman, ha acquisito il rivale spagnola Auto Carrocerias Riu, sempre nel 2012. In questi giorni, l’azienda di Himmelskamp sta chiudendo un affare, i nomi dei protagonisti del quale devono restare segreti per riservatezza, tra un compratore tedesco e un rivale spagnolo in via di acquisizione. Una cosa solo si fa sfuggire il consulente, pur non citando ovviamente la cifra esatta: l’accordo starebbe per essere chiuso nella curva più bassa di un prezzo a doppia cifra in milioni di euro. Come dire, un affarone.
Uno studio della DZ Bank, sempre lo scorso anno, mostrava come una Mittelstand su quattro già presente nelle aree di crisi dell’eurozona fosse intenzionata a investire di più, contro soltanto il 14% delle Pmi operanti solo in Germania o in paesi non colpiti così direttamente dalla crisi. Miracoli del calo del costo per unità lavorativa, figlia legittima dell’austerity imposta da Germania e troika. A spiegare meglio di ogni dato macro la situazione, ci pensa Michael Kleinbongartz, titolare della Kukko, una Pmi che produce estrattori a conduzione familiare da quattro generazioni (vendite annue per 40 milioni di euro in 110 Paesi), intervistato dalla Reuters: «C’è movimento in quelle nazioni e noi cosa dovremmo fare? Aspettare che quei paesi si organizzino e vengano notati da tutti?». Insomma, un classicissimo della strategia tedesca, il blitz. Di più: «Vogliamo essere nel centro della scena quando succede qualcosa ed esserne parte attiva. Molte nazioni hanno terribili strutture economiche da un punto di vista tedesco. Oggi, invece, il collasso di queste strutture dovuto alla crisi sta aprendoci importanti opportunità». Guarda caso, la Kukko ha aperto un ufficio di rappresentanza in Italia e chiuso quelli in Spagna e Portogallo.
Per Walther von Plettenberg, capo della Camera di commercio tedesca in Spagna, la crescente produttività potrebbe giocare a favore delle aziende spagnole: «La Spagna sta tornando nel focus, soprattutto grazie al netto calo del costo del lavoro per unità», un qualcosa che potrebbe aprire scenari soprattutto nel campo automobilistico. La Volkswagen, infatti, ha annunciato la volontà di investire 785 milioni di euro in un impianto nel nord della Spagna nei prossimi cinque anni, il terzo gigante dell’auto ad annunciare espansione in Spagna negli ultimi anni di crisi. E come valuta questa ondata di attivismo il già citato Christoph Himmelskamp? «Non è che i tedeschi vengono visti come gente che arriva e, al modo delle locuste, attacca le aziende spagnole e italiane. Sempre più spesso, infatti, si tratta di aziende che si conoscono da tempo e sono proprio le Pmi del Sud Europa a voler essere comprate. Sono spesso loro a prendere l’iniziativa, perché hanno bisogno di soldi». Già, gli stessi soldi di cui le aziende tedesche sono strapiene a costi bassissimi grazie alla Bce e alle loro banche, la seconda del Paese oltretutto salvata con soldi pubblici, mentre il mancato funzionamento della trasmissione del credito vede le nostre Pmi strangolate da banche che non concedono credito o lo fanno a tassi esorbitanti rispetto al costo per il loro finanziamento presso la Bce, con l’aggravante che la Pubblica amministrazione in Germania paga chi lavora per lei a 40-60 giorni, mentre in Italia spesso non paga affatto.
Le aziende tedesche fanno benissimo ad acquisire rivali profittevoli ma in difficoltà, è il mercato. Però il mercato impone anche l’impossibilità della concorrenza sleale, ovvero vince il merito ma ad armi pari, mentre i nostri piccoli e medi imprenditori, i veri e unici eroi di questo Paese, spesso combattono con tutte e due le braccia legate. E magari, anche una gamba. Nonostante questo, le Pmi tengono in piedi il Paese, le eccellenze sono nostra consuetudine, come ci dimostrano i dati dell’export e non abbiamo proprio nulla da invidiare a nessuno, nemmeno ai tedeschi. Anzi sì, una cosa sì: un Paese che fa sistema e difende la sua impresa e industria, anche giocando sporco se serve, anche alzando la voce con la Bce, la Bundesank o l’Abi, magari, associazione tanto cara a parte dell’attuale esecutivo e azionista di maggioranza del precedente.
Magari, arrivando all’unica opzione possibile, per non morire o venire totalmente colonizzati: bypassare il sistema bancario e usare la Cassa depositi e prestiti per finanziare le Piccole e media imprese con i soldi della Bce e, contestualmente, trovare da qualche parte risorse per sbloccare i pagamenti della Pubblica amministrazione, arrivo a dire anche vendendo parte delle riserve auree. L’oro si può ricomprare, infatti, una volta seccata la pianta della Piccola e media impresa, invece, il Paese muore e diventa merce da banchetto per squali in attesa, ancorché molto seri e austeri.
Cari membri del governo, spero che qualcuno di voi leggerà questo articolo e, magari, ci rifletta su, anche solo per un attimo. Altrimenti, per favore, fate in modo che dall’esecutivo non si levi un solo fiato quando un altro eroe quotidiano di questo nostro Paese deciderà di dire basta e farla finita, suicidandosi per eccesso di credito inesigibile e concorrenza sleale.