Quattro ipotesi sul tavolo del governo Letta per finanziare l’abolizione dell’Imu sulla prima casa e il mancato aumento dell’Iva. Si tratta in primo luogo del taglio delle agevolazioni fiscali, che complessivamente valgono 250 miliardi di euro l’anno. Una cifra che include detrazioni e deduzioni su casa, lavoro, pensione e spese mediche con una serie pressoché infinita di regimi particolari. La seconda ipotesi è la spending review sulla Pubblica amministrazione, anche se i debiti dei ministeri hanno portato la Corte dei conti ad affermare che ormai le uscite non possono essere ridotte più di tanto. Al vaglio anche il piano Giavazzi per tagliare i contributi alle imprese e la riforma del ticket attraverso il “sanitometro”. Ilsussidiario.net ha intervistato il giornalista economico Oscar Giannino.



Su quale delle quattro ipotesi punterebbe per coprire il mancato aggravio fiscale?

La revisione delle agevolazioni dovrebbe essere una delle autostrade da seguire, con scelte molto nette. Da 20 mesi abbiamo una ricognizione precisa su che cosa comporti per il bilancio pubblico la somma delle deduzioni e detrazioni, che ammontano a 250 miliardi di euro l’anno. Il problema in questo capitolo, come in quello molto più ristretto del rapporto Giavazzi sui trasferimenti dal bilancio centrale alle imprese, è la volontà di scelta politica. Non si è riusciti a procedere in 20 mesi, quando già l’indicazione proveniva dal governo Berlusconi. L’intero calendario di aggravi fiscali in materia Iva nasce infatti come clausola di salvaguardia rispetto all’ipotesi di recuperare risorse dall’intervento su questi capitoli.



Perché non si è riusciti a procedere nonostante l’indicazione fosse chiara?

E’ stato un colossale esempio di mancanza di volontà. Nelle dichiarazioni programmatiche di Enrico Letta emerge ancora una volta come non sia affatto una priorità il fatto di aggredire questo ammontare ingentissimo di risorse. L’unica alternativa però è che entri automaticamente in vigore un punto di Pil di aggravi fiscali deliberati dalle manovre alle nostre spalle nei prossimi 18 mesi. Continuo a non comprendere le ragioni di questa mancata scelta politica.

Gli incentivi hanno un effetto positivo sull’economia?



Sappiamo che numerosi di questi incentivi hanno un effetto del tutto trascurabile, e soprattutto sono disomogenei e disegnano nella matrice produttiva italiana una sorta di coperta patchwork. Molte specializzazioni merceologiche hanno una loro aliquota Iva e un regime ad hoc, e ciò rischia più che altro di creare confusione.

In che modo si dovrebbe procedere per tagliare le agevolazioni?

 

Occorrerebbe mettere attorno a un tavolo tutti i rappresentanti della società civile. A questi ultimi sarebbero illustrati i principi base lungo i quali si muoverebbe lo Stato nel tagliare e riaggiornare le agevolazioni. Si aprirebbe quindi un tavolo di consultazione con tempi certi. Ciò che andrebbe evitato in questa fase è il metodo Fornero.

 

 

In che senso?

Bisognerà evitare di affermare “vi comunico che cosa stiamo facendo, se avete qualcosa in contrario me lo dite oralmente, e comunque andiamo avanti”. Dopo quattro-cinque settimane di discussione con le Parti sociali, occorrerà spiegare al Paese quanti punti di Pil è possibile recuperare tagliando gli incentivi, a copertura di minori aggravi fiscali e di sviluppo, sottolineando che si intende procedere con un rapporto aperto e diretto con il Paese e con la maggioranza parlamentare che sostiene il governo.

 

L’Istat intanto ha dovuto ritoccare nuovamente al ribasso i dati sul Pil. Per quale motivo le sue stime sono sempre ottimistiche?

La causa non è il calo della domanda interna, che prosegue da 20 trimestri, ma il riapprezzamento della domanda mondiale. Dalla metà del 2009 è la prima volta che l’export italiano segna un calo tendenziale con il -1,9%. Le esportazioni sono state finora l’unica motrice funzionante, e l’aspettativa di tornare a un export pari a 500 miliardi di euro nel 2013 purtroppo è rimessa in discussione dai dati sul primo trimestre. Ciò spiega la correzione delle previsioni da parte dell’Istat.

 

(Pietro Vernizzi)