Quello di Nicoletta Azzi è un nome noto ai lettori de ilsussidiario.net. Titolare di un’azienda del mantovano che lavora il legno di pioppo, la Panguaneta spa di Sabbioneta, qualche tempo fa ci aveva raccontato la triste storia di un settore che, pur avendo grandi potenzialità, sta vivendo un lento e drammatico declino. In effetti, quello della pioppicoltura è un caso di miopia tipicamente italiano: dall’inizio degli anni ’80, politiche poco lungimiranti, disinteresse e vincoli sempre più penalizzanti ne hanno decretato il crollo. Abbiamo contattato nuovamente Nicoletta Azzi per sapere come stanno andando le sue battaglie per il rilancio del settore.



Come sta andando la sua battaglia? Ci sono novità?

Abbiamo seminato parecchio, a tutti i livelli, europeo, nazionale e regionale. Ora speriamo di raccogliere i frutti.

Quali frutti?

A livello europeo ci siamo mossi per anticipare le decisioni che verranno prese quest’anno e che determineranno la nuova politica agricola comunitaria (PAC) degli anni 2014-2020. Questa volta ci siamo mossi per tempo, visto che le precedenti politiche comunitarie solo state per noi molto penalizzanti. Il mese di giugno sarà decisivo.



Cosa succederà a giugno?

A giugno l’Europa definirà la parte economica della PAC che riguarderà anche gli incentivi per la pioppicoltura.

Verrà abrogata la norma che prevede il fermo biologico di due anni per i pioppeti?

Ci contiamo. Assieme a un gruppo di europarlamentari italiani abbiamo preparato alcuni emendamenti per diminuire il fermo biologico che penalizza la pioppicoltura e per chiedere incentivi alla manutenzione di queste coltivazioni.

A livello nazionale?

Abbiamo avuto incontri al Ministero delle politiche agricole e forestali (MIPAAF) per illustrare le nostre istanze. Il Ministero ha un ruolo chiave perché dovrà recepire gli indirizzi comunitari e adattarli al nostro Paese. Ma il vero punto critico sono le regioni.



Perché?

In questi anni abbiamo avuto la prova che ogni regione fa a sé. Se la regione Lombardia si comporta in modo, l’Emilia Romagna si comporta in un altro. Con di mezzo solo il Po! Assurdo.

Cosa avete fatto?

Abbiamo cercato di sensibilizzare le regioni a seguire una certa omogeneità, promuovendo la creazione di rapporti tra quelle del nord, Piemonte, Lombardia, Emilia, Veneto e Friuli – che sono poi le terre del pioppo – chiedendo di fare politiche in modo armonico.

Il 2013 potrebbe essere decisivo?

Sì, è quello che ci auguriamo. Altrimenti potrebbe chiudersi un’epoca. Senza un impegno concreto l’intera filiera è veramente a rischio.

 

Secondo lei, i politici hanno capito la gravità della situazione?

Sì, anche se la nostra è una realtà molto piccola. In Italia l’agricoltura è molto forte e la pioppicoltura rappresenta una piccola parte. E l’agricoltura è sempre stata incentivata, con sovvenzioni e politiche mirate.

 

La pioppicoltura no?

Il pioppo è una vera anomalia, un caso unico, perché è sempre stato lasciato libero sul mercato. Con un handicap in più che non è mai stato riconosciuto: che non è una normale coltivazione e che ci mette dieci anni a crescere.

 

Cos’è cambiato in questi anni?

In passato la pioppicoltura faceva da completamento all’attività dell’agricoltore in zone dove difficilmente si potevano ottenere altri tipi di colture (le aree golenali e quelle di minor redditività). Ora, su queste aree sono state messe restrizioni, vincoli di protezione ambientale, per la ricostruzione dell’habitat naturale o di parchi. Queste restrizioni, unite a una scarsa redditività del prodotto rispetto ad altre colture più incentivate e meno rischiose, hanno portato a una drastica riduzione delle piantagioni.

 

Lei si sta anche battendo perché venga riconosciuto il ruolo ambientale della pioppicoltura. Come sta andando?

Guardi, la nostra filiera è “green” da trent’anni. Nella zona del pioppo è presente l’intera filiera: dai coltivatori agli utilizzatori del prodotto, a chi si occupa del recupero per scopi energetici. Non viene sciupato nulla ed è tutto vicino, tutto a km zero, tutto materiale italiano, ecocompatibile, certificabile, che si può coltivare senza problemi per l’ambiente. In più…

 

In più?

In più, l’utilizzo di materiale italiano toglie pressione su quello proveniente dalle foreste tropicali. Di per sé sono tutti valori positivi.

 

Va meglio per quanto riguarda il riconoscimento dei crediti di carbonio (la capacità del pioppo di assorbire Co2)?

Anche qui purtroppo siamo molto in ritardo. Non c’è chiarezza su come verranno conteggiati questi crediti. Pertanto non siamo in grado di dire se il pioppo potrà accedere agli incentivi. Probabilmente dovremo aspettare ancora.

 

E sul fronte della politica energetica?

Anche questo è un problema che ci ha penalizzato parecchio.

 

In che modo?

In pratica, la forte incentivazione a livello europeo, poi passata a livello nazionale, per la creazione di centrali a biomasse ha portato squilibri nella coltivazione dei pioppeti. Si è pensato solo ad avere subito materiale da bruciare per usufruire degli incentivi. Senza pensare che il 50% di quello che non viene usato dalle aziende di trasformazione del compensato può essere impiegato per scopi energetici. Oggi si sta cercando di porre rimedio a queste esagerazioni perché si è capito che sovvenzioni troppo spinte falsano il mercato e creano aspettative inverosimili. Compito della politica dovrebbe essere proprio quello di pianificare strategie di sviluppo che tengano conto delle filiere esistenti ed evitare questi squilibri.

 

L’import continua a crescere?

La crisi che il nostro settore ha sofferto in Italia ha rallentato anche l’importazione di tronchi di pioppo. Che però prosegue, specialmente con paesi come Francia, Belgio e Ungheria. Oggi abbiamo una preoccupazione in più.

 

Quale?

Altre aziende stanno aumentando la produzione di compensato di pioppo in questi paesi. C’è il pericolo che una quota del mercato estero rallenti a favore del consumo interno. Il rischio è che si verifichi una contrazione nella fornitura di materia prima proveniente da quei paesi che attualmente suppliscono alla nostra carenza.

 

Sono vostri concorrenti?

Sì. Che stanno utilizzando sempre più il pioppo nelle loro lavorazioni. E si stanno affacciando su mercati nei quali siamo presenti da tempo. L’input l’hanno avuto da noi attraverso l’export dei nostri prodotti finiti. Abbiamo “abituato” i paesi europei a utilizzare i prodotti con il pioppo. È la legge del mercato. Questo tuttavia potrebbe dare maggiore impulso al pioppo in generale.

 

Come vanno le esportazioni?

Il 70% circa del nostro fatturato è fatto con l’estero, ma puntiamo a crescere ancora cercando di diversificare. Esportiamo in una quindicina di paesi, la maggior parte europei, soprattutto in Germania, Francia, Olanda, Austria e Belgio, in alcuni paesi dell’est, negli Stati Uniti, in Nuova Zelanda e Australia.

 

Uno dei prodotti di punta di Panguaneta sono i rivestimenti per gli interni di camper e caravan. Altro mercato in difficoltà…

Sì, è rallentato ma non come quello delle autovetture o delle costruzioni. Anche in questo caso cerchiamo di allargare il bacino di utilizzo rivolgendoci ad altri paesi come gli Stati Uniti, dove registriamo un aumento della richiesta. Pensiamo che questo settore avrà sempre una maggiore possibilità di sviluppo.

 

Che prospettive avete per il futuro?

Stiamo investendo e questo vuol dire che ci crediamo assolutamente, crediamo nel pioppo e nella qualità del nostro prodotto.

 

Dove state investendo?

Stiamo investendo nell’efficienza energetica della nostra azienda, nell’innovazione tecnologica dei nostri impianti produttivi, nella formazione costante del personale per ottenere una diminuzione dei costi, maggior flessibilità e diversificazione dei prodotti. Tutto sommato, un impegno notevole e un segno di coraggio che ci auguriamo venga premiato.