Che la crisi sia scoppiata in un ambiente asettico come quello della finanza, e non dove ci si sporca mani e abiti con colle, grasso e vernici, lo si vede chiaramente assistendo a una kermesse come quella di FederlegnoArredo (ieri si è infatti tenuto il 2° Forum del Legno Arredo). Una realtà, quella del Legno Arredo italiano, che nonostante i colpi della crisi è ancora molto vivace. Una galassia composta in buona parte da aziende artigianali, i cui titolari sono molto spesso abituati a maneggiare direttamente materiali e macchinari. Un concetto questo che è stato ribadito anche durante l’assemblea plenaria che si è svolta nella mattinata, quando nell’aula gremita di Fiera Milano qualcuno ha ricordato, senza metterci cattiveria, che “anche un genio come Salvatore Ferragamo era Ferragamo Salvatore, un abile calzolaio” e che lo stesso “Enzo Ferrari era Ferrari Enzo che nella sua officina ha trascorso tanto tempo con le mani sporche di grasso”.



Cosa c’entrano Ferragamo e Ferrari con il furniture? C’entrano, così come il food e il design, perché sono tutte espressioni del made in Italy che continua a mietere successi all’estero. Proprio alle “eccellenze dell’italianità” era dedicata la sessione di apertura moderata da un istrionico Philippe Daverio. Come si ottiene successo all’estero? Esportando innanzitutto uno stile di vita, è stato detto, e prodotti come conseguenza di questo stile di vita. Per fare questo oggi occorrono dei “missionari” : così sono stati ribattezzati gli ambasciatori del nostro lifestyle. Riccardo Illy, presente tra i relatori, è uno di questi perché ha “convertito” i cinesi al caffè, “quella piccola quantità, con quel particolare sapore, una cosa impensabile”. Lo stesso si deve fare, o almeno provare a fare, con il lino. “Se i cinesi lo provano non tornano più indietro. Ma prima devono avere il tessuto tra le mani, devono poterlo toccare per conoscerlo. Mentre si ostinano con terital sempre più leggeri che però non risolvono i loro problemi di sudorazione”.



Soprattutto verso i paesi emergenti, che ancora non guardano con attenzione alla qualità, bisogna impegnarsi in questa opera di educazione. “Proprio come fecero i gesuiti nel 1500”. E i primi che devono essere educati sono i sensi: per imparare a riconoscere la ruvidezza di un legno, ad esempio, piuttosto che l’autenticità di un pellame. Daverio ha incalzato i suoi ospiti con domande al limite della provocazione: un Paese brutto, ha chiesto, può ancora produrre cose belle? Il Paese che nel frattempo è diventato “brutto” sarebbe il Bel Paese, perché ha accumulato tante cose che non vanno e che bisogna rimettere a posto prima che sia troppo tardi. “Nel dopoguerra eravamo un Paese povero ma bello”. Per la dialettica hegeliana, saremo capaci di trovare una sintesi che ci permetta di risollevarci senza ridiventare poveri? Poi, sulla stessa falsariga: come si possono fare prodotti convincenti in un Paese che all’estero ha perso di credibilità? E così via.



Gli spunti sono stati tantissimi, così come le aporie cui si è giunti. Sull’internazionalizzazione, ad esempio, c’è chi invoca un maggior coinvolgimento dell’Ice, mentre altri non sono d’accordo, “perché la nostra forza d’assalto è l’anarchia degli italiani”. A chi chiede un marchio Italia per i prodotti da esportare c’è chi risponde che all’estero “non veniamo riconosciuti perché siamo quelli degli spaghetti”: quelle che vengono riconosciute sono le aziende italiane, con tanto di nome e cognome. Qualcuno ha lanciato un grido d’allarme: la cultura del fare sta nelle botteghe artigiane, ma la loro forza propulsiva si sta spegnendo, e se si fermano le aziende artigiane la catena si ferma. Bisogna tornare alle scuole di formazione di una volta per garantire il futuro delle nostre imprese e per non essere spazzati via.

A proposito di educazione qualcuno ha fatto notare che in sala non c’era neanche un rappresentante del Politecnico, e questo è grave. C’è anche chi si lamenta, perché “abbiamo trasformato il legno in plasticone”, oppure chi dice che continuiamo a parlare di innovazione come se fossimo a Silicon Valley, mentre “la realtà è molto diversa, siamo molto autoindulgenti”. È stata invece accolta con una vera e propria ovazione la proposta di fare una rivoluzione contro la burocrazia.

Quella di FederlegnoArredo non è stata una manifestazione autocelebrativa. Quello che si percepiva era piuttosto la voglia di andare avanti nonostante le difficoltà. Sì, andare avanti perché ci sono segnali positivi che infondono fiducia. Come i brillanti risultati ottenuti all’ultimo Salone del Mobile. O il “bonus mobili” recentemente varato dal Governo. “Il provvedimento varato dal Governo contribuirà al rilancio di un comparto in forte sofferenza”, ha detto il presidente Roberto Snaidero commentando la decisione di inserire gli arredi nelle detrazioni Irpef previste per le ristrutturazioni. Una decisione che consentirà di salvaguardare circa 8.000 posti di lavoro e 1.800 piccole imprese. “Il prossimo passo sarà una forte azione di comunicazione verso il consumatore”.