Ieri è entrato in funzione il Sid, acronimo di Sistema interscambio dati, quello che i media hanno ribattezzato come il “Grande Fratello” dell’Agenzia delle Entrate che ficcherà il naso nei conti correnti degli italiani. Attilio Befera, direttore delle Entrate, ha detto che si tratta di una “misura straordinaria”. Forse dettata anche dal fatto che ci sono circa 545 miliardi di euro di crediti dello Stato. La stima è stata comunicata da Befera stesso e se ci si pensa un attimo è una cifra mostruosa, pari a circa un quarto del Pil o a un quinto del debito pubblico. Si tratta delle cifre che Equitalia (di cui Befera è Presidente) non è riuscita a incassare dal 2000. Ne abbiamo parlato con Ugo Arrigo, Professore di Finanza pubblica all’Università Bicocca di Milano.
Cosa pensa di questi numeri?
Mi sembra una cifra completamente assurda. Lo dico rispetto a quello che Equitalia riscuote ogni anno con le cartelle esattoriali.
Perché assurda?
Se fossero imposte accertate figurerebbero nella contabilità pubblica fra le entrate di competenza. Ma se si fosse accumulata una cifra così grande di imposte accertate e non riscosse, vorrebbe dire che Equitalia è un fallimento perché non riesce a svolgere il ruolo istituzionale per cui esiste. Ma a parte questo, negli anni si sarebbe dovuta manifestare una discrepanza tra entrate di competenza del settore pubblico e entrate di cassa. A meno che…
A meno che?
Befera non si riferisca all’evasione fiscale in generale. Ma questo va al di là delle competenze di Equitalia che riscuote crediti che sono stati prima accertati dall’amministrazione fiscale. Se c’entra Equitalia vuol dire che sono somme accertate. Io penso che Befera si riferisca a forme di evasione fiscale in generale.
Pensando a questa cifra che potrebbe entrare nelle casse pubbliche, il dibattito di questi giorni sulle risorse da trovare per evitare l’aumento dell’Iva appare un po’ “assurdo”…
Se ci fossero davvero in ballo cifre così consistenti, sarebbe un giochino evitare l’aumento dell’Iva e pure ridurre il cuneo fiscale. In ogni caso, dal mio punto di vista l’aumento dell’Iva va assolutamente evitato.
Perché?
Perché sarebbe un ulteriore passaggio recessivo in un contesto di pesantissima contrazione dei consumi delle famiglie. In cinque anni, dal 2008, il Pil italiano è calato di quasi 9 punti percentuali, i consumi fra i 6 e i 7 punti. Siamo di fronte a un vero disastro, a cali che non si sono mai registrati in tempi di pace. Quindi sarebbe deleterio in questo momento aumentare ulteriormente le aliquote.
In alternativa cosa si può fare?
Intanto le risorse dell’Iva messe a bilancio sono risorse “di carta”, numeri di carta ai quali non corrispondono entrate.
In che senso?
Nel 2000, quando Tremonti portò l’aliquota dal 20% al 21% previde a bilancio aumenti delle entrate che non si sono mai visti, perché i consumi sono crollati e lo Stato quel gettito non lo ha mai avuto. Altri tipi di imposta hanno dato gettito.
Quali?
L’Imu, ad esempio. Il cittadino non distrugge abitazioni e immobili di cui è proprietario per evitare di essere soggetto alla tassazione. I consumi uno può decidere di evitarli e non pagarci le relative imposte.
Che gettito aggiuntivo darà il passaggio dal 21% al 22%?
È proprio qui il punto. In modo fittizio si è detto, se i consumi restassero invariati ci sarebbe un maggior gettito.
Non sarà così?
I consumi non restano invariati: gli italiani non hanno più soldi e non comprano più. Il motore economico sta girando in retromarcia: l’aumento delle tasse fa calare gli imponibili, i quali fanno calare il gettito, che può portare a un aumento delle aliquote fiscali e così via.
Cosa occorre: tagli alla spesa pubblica? Privatizzazioni?
Intanto, per evitare l’aumento dell’Iva non occorrono grosse cifre. Se l’aumento dell’Iva non fa aumentare il gettito, il non aumento dell’Iva non lo fa diminuire. Occorre certamente cancellare programmi di spesa non essenziali. Così come è necessario avviare grandi privatizzazioni sia di imprese che di immobili di Stato. Si può fare anche un’altra cosa.
Quale?
Ridurre i trasferimenti alle aziende di Stato. Lo proposi, e fu fatto, nel 1996 quando si decise di partecipare al primo gruppo dell’Euro e bisognava trovare risorse in maniera molto rapida. Decidemmo di tagliare i fondi alle Ferrovie che dallo Stato ricevevano circa 7/8 miliardi all’anno. Contando che non ci sono tratte della Tav disponibili a breve…
Questa settimana è in programma anche il Consiglio europeo che sarà tutto incentrato sulla politica economica. Cosa deve fare Letta: chiedere per l’Italia lo sforamento del tetto del 3% del deficit/Pil?
Più che chiedere lo sforamento deve dire che l’Italia si impegna a rispettarlo seppur in maniera diversa rispetto al passato.
Cioè?
Dovrebbe spiegare che il parametro del 3%, preso da solo, è privo di senso economico. Paradossalmente, nel 2012, l’anno degli affetti delle manovre Monti-Tremonti il rapporto debito/Pil è peggiorato del doppio rispetto agli anni in cui non le avevamo fatte. A cosa è servito diminuire il disavanzo?
Cosa ci risponderanno dall’Europa?
All’Europa bisognerebbe spiegare un po’ di algebra del trattato di Maastricht. In questi anni il deficit rispetto al Pil è stato eccessivamente enfatizzato. Se freno troppo sul disavanzo pubblico accelero la crescita del debito è questo alla fine è controproducente. La politica europea è la richiesta di far frenare di colpo il settore pubblico senza avere l’abs. Bisognerebbe dire alla signora Merkel che sta chiedendo di schiacciare sul freno, ma l’Europa non ha l’abs e quindi il motore dell’economia si blocca.