Ci sono momenti in cui rispondere alla chiamata è un dovere morale prima che economico. Questo è uno di quei momenti. La nazione italiana è stremata. Il 21 giugno le tre organizzazioni sindacali dopo dieci anni di divisione hanno chiamato a manifestare tutti i loro iscritti e tutti i loro lavoratori: si sono presentati a Roma solo 100.000 attivisti. È un segnale della paura che è diffusa nel Paese: non solo i disoccupati, i cassaintegrati, i precari non ne possono più, ma non ne possono più neanche gli occupati, quelli che una genia di immorali furfanti chiama “garantiti”, mentre ogni giorno pende su di loro lo spettro dell’essere cacciati dal lavoro.



Sappiamo tutti che siamo sull’orlo dell’abisso. Sappiamo tutti, chi non vive di Repubblica e brioches e di Bocconi, che la crisi industriale è appena cominciata: il caso Indesit è un drammatico esempio per tutti, ma ne potremmo elencare a centinaia. Per quello tutti stanno fermi dalla paura. I cosiddetti mercati, invece, si muovono, eccome: crollano. Ci sono ragioni globali: il falò cinese sta lentamente spegnendosi e le rapide crescite dei Brics stanno avviandosi alla normalità. Ma ci sono anche ragioni legate alla politica monetaria delle banche centrali, in primis della Federal Reserve.



Ben Bernanke, innanzi ai primi risultati della sua politica espansiva (diminuzione della disoccupazione e aumento dei prezzi delle case in primis) sembra aver paura di non essere più in grado di controllare il target inflazionistico. Imprudentemente lo ha anche annunciato, a riprova che i banchieri dovrebbero stare zitti. C’è il rischio che la Federal Reserve rifaccia l’errore che fece nel 1937-38 e che la Banca centrale del Giappone fece nel 2006, quando entrambe interruppero l’offerta di moneta proprio quando la politica espansiva cominciava a dare i primi effetti. Per questo le Borse crollano. E possono crollare ancora di più se la Banca centrale europea continua a perseverare nella sua politica suicida, cioè a non rispondere all’appello delle emissioni di moneta.



Se gli Usa si ritirano, l’Europa è nuda dinanzi alle sue responsabilità mondiali. E il kimono giapponese non è sufficiente a coprirla. Chi non comprende questo intreccio sistemico è sicuramente candidato a vincere una cattedra in Economia e a generare la più grande catastrofe sociale della storia. Visto chi comanda tra i professori, non rimane che il governo italiano: deve pienamente assumersi le sue responsabilità e scegliere di stare con la piazza dei sindacati, le cui denunce peraltro sono in larga misura simili a quelle della Confindustria. Anzi, sarebbe ora che quest’ultima, tutti i sindacati dei lavoratori, Rete Imprese Italia e tutti gli operatori economici formassero un unito fascio che risvegli il governo definitivamente.

L’ala dell’austerità – che come sempre coincide con il Pd e annessi e connessi, perché l’ottusità dei neofiti è durissima a morire – deve essere neutralizzata valorizzando le componenti di quel partito che la pensano in modo keynesiano e non si inginocchiano davanti ai diktat teutonici. Come ha detto giustamente Raffaele Bonanni, ci vuole uno shock in primo luogo fiscale: via l’Imu, via l’aumento dell’Iva, giù le tasse sul lavoro, sull’impresa e i contributi pensionistici.

Si prepari con ogni mezzo un piano per il lavoro tanto dei giovani quanto dei cinquantenni. Il Paese è unito nel dolore e nella sofferenza. Lo sia il governo nell’azione.