Lo Stato come garante per consentire l’erogazione di credito alle imprese in difficoltà. Fabrizio Saccomanni, ministro dell’Economia, starebbe lavorando a un fondo di garanzia contro il credit crunch. Stando a una ricerca di Unicredit, accantonando 500 milioni di euro l’anno in un fondo pubblico, entro due anni si sbloccherebbero 30 miliardi di crediti, che potrebbero salire a 60 se le banche si accollassero il 50% dei rischi. Lo snodo, come ha spiegato Carlo Pelanda su queste pagine è cruciale, dato che “la ripresa sarà molto fragile e soprattutto il sistema bancario si troverà in difficoltà per la marea di insolvenze che lo stanno devastando, con impatto restrittivo sul credito. Questo il punto principale, oltre all’ovvia necessità di stabilità politica: se si trova un modo per aumentare il credito, allora la ripresa si consoliderà”. Sul tema ilsussidiario.net ha intervistato Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze.



Professore, il credito è fondamentale per stimolare la ripresa, ma le banche devono fare i conti con le insolvenze che stanno aumentando. Come se ne esce?

Una parte rilevante della contrazione del credito deriva dalle sofferenze legate ai soggetti che non sono in grado di restituire i debiti. Si tratta di fattori che non riguardano il credito, ma la redditività dell’investimento, o la capacità dei patrimoni su cui si sono messe nuove imposte di reggere al pagamento dei debiti. Il problema per le piccole e medie imprese può essere risolto con garanzie al credito della Cassa depositi e prestiti. Salvo però che si tratti di operazioni su imprese buone: ritengo che la vera soluzione non stia nel regalare il credito a chi non è in grado di rimborsarlo.



Eppure secondo uno studio di Unicredit, accantonando 500 milioni l’anno in un fondo pubblico si garantirebbero fino a 60 miliardi di credito se le banche si assumessero metà del rischio…

Il problema è capire di quale rischio si tratti. Non condivido l’idea che le banche vadano cercando l’aiuto dello Stato per risolvere i loro problemi di ridotta patrimonializzazione e per poter fare cattivi prestiti. E’ un’impostazione pericolosa, perché ricrea il cortocircuito del neo-mercantilismo. Noi abbiamo al potere una sinistra alleata con il capitale finanziario, il quale chiede la sua parte. Questa è appunto una strategia che non ci porta molto lontano, ma serve a risolvere problemi contingenti avvitando la nostra economia in una sorta di “effetto serra”.



In che senso sostenere il credito produce una sorta di effetto serra?

Con il calore artificiale di una serra si possono far crescere piante che diversamente non crescono. Nel campo dell’economia operazioni di questo tipo sono però pericolose. Un altro conto è invece il credito per l’esportazione o per l’investimento a lungo termine, dietro a cui c’è un ragionamento economico. Un investimento a lungo termine non conviene ai privati, ma torna a beneficio della collettività. Allo stesso modo il credito all’esportazione può essere stimolato dal fatto che nella conquista dei mercati internazionali ci sono dei costi di carattere generale. La presenza italiana maggiore in determinate aree economiche o in determinati settori genera un vantaggio anche a soggetti diversi da chi avvia per primo le esportazioni.

 

Quindi occorre fare credito alla Fiat perché esporti auto italiane nel mondo?

Se si decidesse di sovvenzionare il credito all’esportazione delle nostre auto e queste diventassero una quota del mercato di determinati paesi, in questi ultimi si creerebbe una dipendenza. Quando si cambia auto si cercano i modelli italiani, i pezzi di ricambio vengono dall’Italia e quindi si genera un nuovo mercato. La Fiat in questo caso non vorrebbe però una sovvenzione alle esportazioni, ma il diritto a operare con salari flessibili senza che la Cgil e i tribunali comunistizzati adottino delle forme di sabotaggio nei suoi confronti. Sostenere le esportazioni di auto italiane servirebbe piuttosto a risolvere un problema che si è creato attraverso il dirigismo.

 

(Pietro Vernizzi)