Parliamo di 40 miliardi, 20 nel 2013 e 20 nel 2014. È questa l’iniezione di liquidità che il sistema produttivo si aspetta dallo sblocco dei pagamenti della Pa disposto dal Governo Monti con il decreto legge 35 dell’8 aprile scorso, convertito nella Legge 64 del 6 giugno. Secondo l’ultimo Bollettino economico della Banca d’Italia, si tratta della misura di stimolo economico più importante messa in campo dall’esecutivo. C’era quindi grande attesa per i dati che il ministro Saccomanni ha comunicato ieri all’incontro sull’attuazione di quei provvedimenti.



Il Ministro ha confermato le buone notizie diffuse all’inizio di giugno: l’attuazione del decreto procede, e il Tesoro ha già messo a disposizione delle amministrazioni 15,7 miliardi sui 20 erogabili quest’anno. Di questi 6,3 miliardi sono erogazioni finanziarie aggiuntive che sbloccano pagamenti altrimenti costretti nella gabbia del Patto di stabilità. Gli altri 9,4 miliardi sono spazi di disponibilità trasferiti “verticalmente” tra province e comuni attraverso le regioni, oltre a compensazioni di debito della Pa con debiti fiscali delle imprese fornitrici.



I pagamenti sbloccati riguardano principalmente fatture emesse a fronte di investimenti. In Italia, le spese in conto capitale sono rilevate per cassa, e le amministrazioni possono “nasconderle” ai controllori europei fintanto che tengono in sospeso il pagamento dei fornitori. È questa la parte più coriacea dello stock di debito commerciale arretrato. La sua emersione incontrollata, impattando sul deficit pubblico, spingerebbe sopra il 3% il rapporto deficit/Pil imposto dal Patto di stabilità. Non è un rischio che possiamo correre, considerando i sacrifici compiuti per rientrare dalla procedura di infrazione di quel limite. Pertanto, sul fronte dei pagamenti coperti da maggiore deficit, il Governo ha spazi di manovra che restano limitati, nonostante le concessioni ottenute dall’Italia in sede europea a inizio mese.



Sono però due i lacci che legano le mani degli enti pagatori. Il primo, appena ricordato, riguarda il controllo dei flussi di spesa, che impattano sul deficit di periodo. Il secondo ha a che fare con il finanziamento per cassa della spesa, che impatta sull’incremento dello stock di debito pubblico dell’Italia, salito a fine marzo al di sopra del 130% del Pil. Anche su questo fronte i meccanismi straordinari introdotti dal decreto (fondo di liquidità presso il Tesoro e anticipazioni della Cassa depositi e prestiti) cominciano a funzionare.

Diversi provvedimenti antecedenti il decreti di marzo prevedevano il “pagamento” degli arretrati con serie speciali di titoli di Stato, proprio per ridurre la pressione delle quantità emesse sul mercato finanziario. Si sono compiuti dei progressi per rendere questa opzione praticabile. Sono in generale apprezzabili tutte le innovazioni che la legge di conversione ha introdotto per rendere il processo di sblocco dei pagamenti più rapido, meno costoso, più trasparente e più stimolante per la crescita, disponendo sanzioni per le amministrazioni periferiche inadempienti. Molti dei rilievi formulati dalla Banca d’Italia sul decreto legge hanno avuto risposta.

Il briefing del ministro prima della pausa estiva porta buone notizie. Aspettiamo ora una conferma a metà settembre, quando sarà misurabile lo stock di debito certificato dalle amministrazioni debitrici. Il piano di abbattimento del pregresso darà dei risultati apprezzabili, ma limitati. È importante che lo stock faticosamente intaccato non si rigeneri. E per questo servono subito buone pratiche amministrative. Ma, soprattutto, occorre che il provvedimento sblocca-crediti produca lo stimolo alla crescita tanto a lungo atteso.

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