In Piazza Bra, a Verona, un collega premio Nobel per l’economia, indicandomi la folla vivace nonostante la calura, mi chiede sornione: secondo te, quando finiscono le crisi? Capisco quello che pensa, ma che esita a esprimere per primo a un collega con cui ha consuetudine solo sporadica, perché poco scientifico. Rispondo: quando la gente si stufa di stare in crisi. Incoraggiato dal brindisi di complicità – mentre il cameriere quasi sviene nel vedere l’americano mettere cubetti di ghiaccio in un bicchiere di prezioso Valpolicella – sui tovaglioli schizzo proprio questo fenomeno che secondo me è motivo principale dell’inversione della tendenza recessiva osservabile in queste settimane.



Semplificando, circa un terzo del sistema economico italiano è stato inabilitato da quasi tre anni di politiche fiscali che hanno peggiorato l’effetto depressivo costante di un modello economico troppo carico di tasse, spesa pubblica improduttiva, costi sistemici, ecc. In particolare, l’aumento del drenaggio fiscale ha creato una deflazione catastrofica del mercato interno, cioè caduta di consumi e investimenti che ha portato a un picco di disoccupazione.



Crisi auto-indotta che non ha nulla a che fare con quella globale del 2008, esclama sconcertato il collega. Ma i due terzi del sistema sono rimasti intatti. L’altro concorda che è un risultato miracoloso: come hanno fatto tanti a sopravvivere a condizioni così infernali? La capacità di famiglie e imprese – rispondo – di trovare soluzioni adattative informali a situazioni formali depressive, forse fenomeno unico al mondo. L’altro si illumina: quindi questi due terzi con ancora qualche soldo stanno ricominciando a spenderlo, nonostante il modello di politica economica resti depressivo, perché si sono adattati e ora, visto che le cose non peggiorano, si sono stufati di fare vite misere.



Nonostante la politica, l’Italia si riaggiusta. Aggiungo che a un sistema così vitale e flessibile basterebbe poco per accelerare la ripresa: (a) pagare subito almeno 40 miliardi sui 100 che lo Stato deve alle imprese fornitrici; (b) non alzare nuove tasse; (c) coprire con un fondo a garanzia statale le necessità di ricapitalizzazione delle banche per aumentare il credito.

Cose minime e semplici da farsi, dice l’altro segnalando con gesti l’ovvietà. Fa lui due conti: con queste misure, se fatte subito, il Pil 2014 passerebbe dallo 0,6% oggi prevedibile a quasi il 2%. Il 2,7% preciso io, mostrando l’effetto moltiplicatore degli stimoli dovuto alla peculiare capacità e flessibilità del sistema economico italiano.

 

www.carlopelanda.com