Alla vigilia dell’autunno, lo stato di salute della finanza globale appare migliore di quel che si credeva (o si temeva) solo pochi mesi fa. Senza traumi particolari (se si esclude la tragedia egiziana, non così rilevante per le sorti dell’economia), il mondo ha effettuato una manovra di correzione di dimensioni gigantesche.



1 – Gli Stati Uniti sono tornati a essere il baricentro della crescita mondiale. La locomotiva americana si avvia a toccare una crescita del 3% entro la fine dell’anno, nonostante la permanenza dello scontro al Congresso sui tagli al budget che ha fortemente limitato l’intervento pubblico. I problemi sono ancora tanti e profondi: la disoccupazione è ancora alta. La recessione, inoltre, ha profondamente modificato (in peggio) le caratteristiche del mercato del lavoro: la maggior parte dei nuovi impieghi è part-time, con salari spesso al di sotto della soglia di povertà. Ma la macchina è ormai ripartita: torna a crescere il mercato immobiliare; l’industria dell’auto, sorretta dal credito erogato da potenze finanziarie di nuovo in salute, macina nuovi record; il sistema ha recuperato flessibilità ed è in grado di sfruttare appieno la rivoluzione del fracking, che consente agli Stati Uniti di ambire a essere, in campo energetico, l’Arabia Saudita del XXI secolo.



2 – Il Giappone, con qualche scivolone, si avvia a uscire dalla spirale recessiva. Le robuste iniezioni fiscali e monetare dell’Abenomics hanno risvegliato la Borsa e, di riflesso, i consumi e la dinamica dei prezzi, schiacciati dalla deflazione da 15 anni abbondanti. Shinzo Abe non è ancora risuscito a convincere i Big dell’industria ad accelerare gli investimenti in patria. Ma i prossimi sgravi fiscali a vantaggio delle corporations potrebbero convincere le multinazionali a riscoprire il Sol Levante.

3 – Anche l’Europa è tornata a crescere, come dimostrano i dati sul Pil dell’eurozona. È un decollo a macchia di leopardo: avanza la locomotiva tedesca, ma perde corpo l’Olanda dell’austerità al pari della Svezia che non partecipa all’euro. L’Italia resta con il segno meno, ma Portogallo e Grecia, a sorpresa, dimostrano che il fondo, probabilmente, è stato toccato.



4 – Per finire, la frenata dei Brics, i grandi protagonisti della prima parte del secolo. La Cina ha in pratica dimezzato il suo tasso di crescita: non più del 7,5% quest’anno, ancor meno nel prossimo futuro. L’India accusa grossi problemi: fuga di capitali, discesa della rupia, difficoltà ad attrarre nuovi capitali internazionali causa una struttura burocratica che frena gli investimenti. Il Brasile accusa più di tutti la frenata dei prezzi delle materie prime. Gli investimenti industriali restano al palo o non mettono a frutto tutte le potenzialità per l’assenza di infrastrutture, non realizzate negli anni delle vacche grasse. La Russia è in piena ritirata. La cappa autoritaria imposta da Vladimir Putin soffoca le energie imprenditoriali. La caduta dei prezzi del gas, che pesa sulle sorti di Gazprom, ha fatto il resto.

Insomma, il baricentro del mondo torna a spostarsi verso Ovest. I Brics, così come il resto della pattuglia degli Emergenti, restano solidamente agganciato alle sorti del mondo sviluppato. I prossimi anni, secondo Jim O’Neill, che a suo tempo anticipò il decollo dei Brics (acronimo di cui può rivendicare il brevetto) oggi dichiara: “Il futuro appartiene agli Stati Uniti. I Brics cresceranno meno e in maniera diversa. La Cina, in particolare, si baserà sempre di più sui consumi privati, assorbendo una buona parte dei prodotti pensati e costruiti negli States”.

In questa cornice la locomotiva tedesca sta correggendo la rotta: non solo Cina o Russia, ma più attenzione agli Stati Uniti, a partire dal delicato negoziato per il libero commercio sulle due sponde dell’Atlantico. L’Italia ha molto da guadagnare dall’accelerazione dei mercati Usa e tedesco, da sempre due aree commerciali battute dal made in Italy. Più ancora ha da guadagnare dal cambio delle rotte del denaro.

In termini finanziari, infatti, la nuova realtà si è tradotta in:

1 – Un robusto recupero dei mercati finanziari dell’Ovest, grazie all’ossigeno procurato dalle banche centrali, Fed e Bce in testa. Il trend, partito da Wall Street, ha prima contagiato il Giappone, ora ha varcato l’Atlantico. È ripartita per prima la Borsa di Francoforte, ora tocca a Madrid e Milano.

2 – Il fenomeno ha investito il mercato del debito. In vista di un cambio delle strategie monetarie della Fed, necessario dopo la ripresa dell’economia per evitare lo scoppio dell’inflazione, i tassi dei T bond sono ai massimi da due anni. Un fenomeno analogo sta interessando la Germania: mercoledì il decennale tedesco è risalito all’1,82%, il massimo da due anni, nonostante il Tesoro abbia rinunciato a piazzare una parte dei titoli all’asta per evitare strappi ulteriori.

3 – Il rialzo dei rendimenti fa prevedere una frenata delle Borse: se aumentano i rendimenti dei bond, i prezzi delle Borse appaiono meno invitanti, a meno di strappi al rialzo nei profitti che non si vedono nei bilanci.

4 – Il discorso è diverso per l’Europa mediterranea: la minor pressione sull’eurozona riduce il premio al rischio richiesto dagli investitori per scommettere su Btp e Bonos spagnoli. Un anno fa, quando lo spread era a 570 punti, il governatore della Banca d’Italia avvertiva che i fondamentali giustificavano una forbice di 200 punti base a danno del Bel Paese nei confronti della Germania, il resto era il sintomo di un male europeo. Oggi lo spread si avvicina ai 200 punti. Ovvero: il malessere europeo svanisce, quello italiano resta immutato. Ma Piazza Affari, dopo anni di depressione, ha ancora molta strada da fare per raggiungere livelli paragonabili alla concorrenza: tlc, banche, imprese industriali sono ancora a buon prezzo.

Il quadro internazionale, insomma, una volta tanto appare propizio. Ma non si sa per quanto. Il ritardo strutturale del Sud Europa permane, nonostante i passi in avanti di Spagna e Portogallo (meno dell’Italia). Permane, soprattutto, la spada di Damocle della disoccupazione, flagello destinato a durare nel tempo. Ma è importante saper sfruttare la finestra di opportunità offerta dai mercati. Il tasso medio sui Bot è crollato dal 2,18% del 2012 allo 0,91% dei primi sette mesi di quest’anno. S’allunga la vista media del debito pubblico, al pari della quota di Btp in mano agli investitori stranieri (dal 25% al 34%), Insomma, i capitali per ripartire stanno arrivando. L’importante è agganciarli a progetti credibili a medio e lungo termine con un’offerta (privatizzazioni e infrastrutture) a medio temine. Altrimenti, la prossima tempesta potrebbe essere ancor più grave di quelle appena passate.