Otto aziende italiane che operano nel settore dei legnami da costruzione hanno deciso di affrontare assieme l’avventura dell’internazionalizzazione. Una novità, visto che fino a oggi all’estero ognuno andava per conto suo. Con risultati alterni, vista la dimensione delle singole imprese. Ad Andrea Sartirani, capofila dell’operazione nonché titolare di una di queste aziende – la Sartirani Legnami – abbiamo chiesto di raccontarci quello che è successo.



Ci parli del vostro progetto di internazionalizzazione: su quali paesi state puntando?

Innanzitutto vorrei fare una premessa per spiegare come siamo arrivati a questo progetto.

Prego.

I grafici degli ultimi anni hanno sempre confermato una contrazione costante del mercato interno delle costruzioni. Così, l’anno scorso, il consiglio direttivo di Assolegno ha deciso di andare a sondare il terreno per vedere se erano maturi i tempi per l’internazionalizzazione delle aziende del nostro settore. E sono stato incaricato io della cosa.



Cos’ha fatto?

A marzo di quest’anno abbiamo organizzato un workshop a cui hanno partecipato le aziende interessate a operare sui mercati esteri. Al workshop sono poi seguiti altri incontri. Lo scorso 12 luglio, infine, otto aziende hanno deciso di iniziare il progetto.

Che aziende sono?

Assieme alla mia azienda, la Sartirani Legnami, ci sono: Edilegno (signor Claudio Giust), Moretti Interholz (Paolo Bentivoglio), Holzbau Sud (Giorgio Bignotti), Sistem Costruzioni (Emanuele Orsini), Stratex (Angela Maffione), Fratelli Vidoni (Marco Vidoni), e il gruppo Cammi (Attilio Bellucco).

Come avete deciso di operare?



Abbiamo deciso di affiancarci alle strutture di FederlegnoArredo, cui abbiamo chiesto dei report su una decina di paesi.

Come avete scelto questi paesi?

Li abbiamo selezionati in base alle loro caratteristiche che corrispondevano ai suggerimenti che ognuno di noi aveva segnalato singolarmente e che avevano riscontrato interesse anche da parte degli altri.

Che tipo di indicazione avete dato?

Innanzitutto quelle sul cliente finale che doveva essere un costruttore, un contractor, uno studio di progettazione, un importatore, procacciatori d’affari, ecc. Abbiamo selezionato paesi dove abbiamo visto grosse potenzialità di crescita.

 

Cosa succederà adesso?

 

A metà settembre arriveranno i report. Se saremo ancora tutti d’accordo selezioneremo i paesi di maggior interesse e proseguiremo assieme su 3-4 di questi. Altrimenti potremmo dividerci in due gruppi.

 

In che area si trovano questi paesi?

 

Principalmente fanno parte del Medio oriente, Nord Africa e della zona caucasica.

 

Da cosa avete capito che hanno buone possibilità di crescita?

 

Sono paesi con un andamento demografico incredibile e un’età media della popolazione molto bassa. È gente quindi che ha bisogno di abitazioni. Gente che ha la volontà di uscire da situazioni difficili in cui è stata costretta a vivere da anni. Alcuni ce la fanno più facilmente, altri con maggiori difficoltà. Li abbiamo selezionati anche in base alla loro stabilità economico-finanziaria e politica.

 

In questi paesi sono già presenti operatori di altri paesi?

 

Ci sono già operatori del centro e del nord Europa, come gli scandinavi che non ci lasceranno entrare facilmente. E noi italiani non vogliamo entrare con costi bassi e grandi numeri, ma portando la differenza del made in Italy, che è già apprezzata per l’arredo. Speriamo che in futuro lo diventi anche per le costruzioni. C’è da aggiungere un’altra cosa.

 

Quale?

 

Di questo gruppo fanno parte aziende che operano già da diversi anni in alcuni di questi paesi e hanno già i loro canali. Per questo motivo abbiamo escluso quei paesi. Privilegeremo quelli dove nessuno è ancora andato.

 

Una cosa abbastanza unica quella di muoversi insieme: non teme di incontrare difficoltà?

Se continueremo ad andare da soli rimarremo sempre piccoli. Già adesso rischiamo di restare fuori da alcune commesse proprio per il nostro limite dimensionale. Si tratta di lavori molti importanti che ognuno di noi non si sente di affrontare singolarmente perché magari non ha la capacità produttiva o rischia di metterla in crisi. O perché sarebbe troppo oneroso un impegno del genere. Che però, spalmato su più aziende, diventa sostenibile.

 

Sul mercato interno ci sono segnali di ripresa?

 

Il problema del mercato interno è la carenza di liquidità. Possiamo stare a discutere per ore su chi ne ha la colpa. Ma fintantoché non riprende a circolare la liquidità, la fiducia resta bassa, rimane l’invenduto e gli investimenti sono fermi.

 

È fiducioso sulla vostra avventura all’estero?

 

Per natura ho fiducia nelle persone. Non ho guardato a quali aziende appartengono. Quello che interessa è la persona con cui mi confronto e con cui voglio costruire qualcosa. Se in quella persona vedo competenza, volontà e spirito di collaborazione, allora ci provo, mi metto in gioco.

 

In Italia rimanete concorrenti?

 

Senza ombra di dubbio. Non solo, anche su alcuni mercati esteri. Proprio per non creare frizioni, ma anche per non distruggere quello che quelle aziende hanno già costruito, abbiamo evitato quei paesi dove alcuni di noi sono già presenti per conto proprio. 

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