Riva Acciaio, il gruppo da cui dipende l’Ilva di Taranto, metterà in cassa integrazione 1.400 dipendenti attivi in sette stabilimenti. Una scelta che è la conseguenza del sequestro di beni e conti correnti da parte della Guardia di finanza, per un valore di 916 milioni di euro, all’interno dell’inchiesta per disastro ambientale relativo allo stabilimento di Taranto. “Il drammatico provvedimento preso e comunicato da Riva Acciaio rappresenta l’esito annunciato di un accanimento giudiziario senza precedenti, da me ripetutamente denunciato già in tempi non sospetti”, stigmatizza Antonio Gozzi, presidente di Federacciai. Mentre per il dirigente nazionale di Scelta civica ed ex vicepresidente della commissione Lavoro alla Camera, Giuliano Cazzola, «la legge prevede che l’Ilva di Taranto sia uno stabilimento di interesse strategico. Il governo dispone quindi di tutti gli strumenti necessari per intervenire, tra cui quelli giuridici che gli sono stati affidati dal Parlamento».
Cazzola, come si spiega questo nuovo capitolo nella vicenda Ilva?
Il provvedimento dei vertici di Riva Acciaio si giustifica soltanto se le risorse sequestrate dai giudici servivano a mandare avanti la produzione degli altri sette impianti. La scelta di mettere in libertà 1.400 addetti non può essere una pura e semplice rappresaglia.
Lei che cosa ne pensa della guerra giudiziaria che ha portato l’Ilva all’attuale situazione?
Il settore produttivo italiano sta attraversando la crisi che tutti sappiamo. Prima dell’inizio dell’inchiesta l’Ilva di Taranto era il primo stabilimento siderurgico in Europa, faceva profitti e non aveva la necessità di mettere nessuno in cassa integrazione. Non si poteva però pretendere che risolvesse i suoi problemi con un colpo di bacchetta magica, ma aveva bisogno del tempo necessario. Si stava monitorando il modo in cui l’impianto utilizzava questo tempo, ma poi il Tribunale ha dichiarato guerra a una realtà che solo a Taranto occupa 12mila addetti e che produce gran parte dell’acciaio consumato nel nostro Paese. Pensare di fare giustizia, costi quel che costi, è un’idea delirante.
Perché il commissariamento dell’Ilva di Taranto non è stato sufficiente a impedire il sequestro?
Perché, come dicevo prima, i magistrati intendono riaprire il conflitto con l’azienda. Poiché il gruppo Riva Acciaio ha disponibilità soltanto su altri stabilimenti che non sono quello di Taranto, la conseguenza del sequestro è la messa in mobilità di altri 1.400 dipendenti che non c’entrano nulla con la vicenda dell’inquinamento.
Che conseguenze avrà la decisione di Ilva Acciaio per l’occupazione e per il sistema produttivo italiano?
Nella situazione che si è creata il governo dovrà fare sentire la sua voce. La legge prevede che l’Ilva di Taranto sia uno stabilimento di interesse strategico. Il governo dispone quindi di tutti gli strumenti necessari per intervenire, tra cui quelli giuridici che gli sono stati affidati dal Parlamento.
E se questi strumenti non fossero sufficienti?
Oltre al disastro che si determinerà nel Tarantino, l’industria nazionale che sta registrando i primi segnali di miglioramento si troverebbe costretta a rifornirsi di acciaio dall’estero. Oggi nove tonnellate di acciaio prodotte dall’Ilva sono utilizzate in Italia e gran parte di queste sono consumate al Nord.
Quale può essere la soluzione per i 1.400 operai messi in libertà da Ilva?
Nei loro confronti entreranno in funzione gli ammortizzatori sociali. Il governo avrà il compito di intervenire, convocare le parti e vedere se ci sono degli atti giuridici da compiere, verificare qual è la situazione concreta. Nel corso degli incontri si cercherà di capire che cosa chiede l’Ilva per evitare questa situazione.
Il governo potrà intimare a Riva Acciaio di non mettere gli operai in cassa integrazione?
Il governo ha il dovere di fornire anche delle risposte, non può semplicemente dare ordini. Deve cioè capire qual è la situazione e se il blocco delle risorse impedisce effettivamente di continuare la produzione o se è un atto di rappresaglia contro le Procure. C’è poi una serie di norme che possono fare uscire l’llva da questa stretta e il governo le deve adottare.
(Pietro Vernizzi)