“Quando andiamo in Cina sono molto scrupolosi con i nostri prodotti e ci chiedono informazioni dettagliatissime”. E’ paradossale ma è così: in Cina i controlli sulle merci che passano le frontiere sono rigidissimi, mentre l’Europa non ha ancora fissato i criteri che regolano la tracciabilità di un prodotto e la sua provenienza d’origine. La contraddizione, espressa in maniera così chiara, è venuta a galla ieri durante un incontro organizzato da FederlegnoArredo con due europarlamentari italiane – Lara Comi del Pdl e Patrizia Toia del Pd – invitate a fare il punto sullo stato di avanzamento della legislazione comunitaria in materia di marchi d’origine. Che le vere partite si giochino a Bruxelles è una realtà di cui il Presidente Roberto Snaidero è pienamente convinto: “Un numero crescente di importanti decisioni che impattano direttamente sulla vita delle nostre aziende vengono prese a Bruxelles e la normativa di emanazione comunitaria rappresenta ormai più dell’80% del nostro quadro legislativo”.
Ma in Europa non tutti sono disposti a fare la stessa battaglia e a esigere la medesima severità su vigilanza e controlli. Ad esempio, a non essere interessati sono quei paesi che hanno portato avanti programmi di deindustrializzazione spinta. I tedeschi, per esempio, non sono con noi in questa battaglia, confermano le due europarlamentari che, pur militando in schieramenti opposti, portano avanti una battaglia comune assieme ad altri eletti della pattuglia italiana. “Possiamo contare su francesi, spagnoli e pochi altri. I polacchi di recente hanno cambiato orientamento”. “A dir la verità – spiega l’on . Toia – sono le stesse associazioni di categoria a non essere d’accordo tra loro: lo si vede dagli emendamenti che sono stati presentati, che si scontrano l’uno contro l‘altro”. E poi: fin dove bisogna spingersi e dove invece è meglio fermarsi? Fino a che gradino è giusto risalire nella scala della tracciabilità? È sufficiente l’ultima fase, quella di trasformazione, visto che siamo un Paese di trasformazione?
In sala qualcuno fa notare che a chi lavora in paesi come gli Stati Uniti sono già richieste informazioni dettagliatissime sulle varie fasi di lavorazione. “L’unica leva è far capire che la battaglia che stiamo facendo è a favore del consumatore – afferma Comi -. La nostra non è solo una difesa del made in Italy. Non c’è nessun pregiudizio, beninteso, contro i prodotti cinesi che possono essere eccellenti: devo però sapere da dove viene quel prodotto, dopodiché decido cosa fare”. L’origine di un prodotto identifica infatti la qualità dei materiali impiegati, del confezionamento e diventa garanzia di sicurezza per il consumatore.
“Dobbiamo puntare a uno sviluppo che sia per tutta l’Europa, è inutile porre veti tra Stati membri: se c’è sviluppo ci guadagniamo tutti”. C’è anche un altro pericolo. La legislazione europea in materia di concorrenza – secondo Toia – è datata e rischia di indebolire le nostre aziende anziché rafforzarle nella sfida globale. “In Europa c’è bisogno di alleanze, non si può continuare a ragionare in termini di nazioni o addirittura di settore”. È giusto stabilire anche chi sono i “veri” paesi in via sviluppo: inutile continuare a considerare tali quelli che nel frattempo sono cresciuti e hanno ormai raggiunto un livello di ricchezza piuttosto alto. È iniziata la corsa contro il tempo. Nel febbraio scorso la Commissione Europea, su suggerimento del vice presidente Antonio Tajani ha ripescato una vecchia proposta di regolamento sulla tracciabilità. Che è già stata calendarizzata per una delle ultime sedute del Parlamento Europeo prima della fine dell’anno. Ma il tempo che rimane è poco, perché il parlamento è in scadenza. Si tornerà infatti a votare a maggio, e tutto il lavoro svolto rischia di finire in un niente di fatto. “Con la Presidenza italiana che inizia a luglio 2014 – conclude Comi – le cose potrebbero invece migliorare”.