L’epopea dell’Ilva non sembra avere mai fine e, ogni volta che giunge una notizia, non è mai buona. I Riva, proprietari del gruppo, dopo il sequestro di 916 milioni di euro, hanno annunciato 1500 esuberi tra i dipendenti di 13 società: chiudono quindi i battenti, tra gli altri, gli stabilimenti di Verona, Caronno Pertusella (Varese), Lesegno (Cuneo), Malegno, Sellero, Cerveno (Brescia), Annone Brianza (Lecco), Riva Energia e Muzzana Trasporti. Abbiamo chiesto quali scenari si prospettano a Riccardo Gallo, professore di Economia Applicata presso la Facoltà di Ingegneria della Sapienza di Roma.
Cosa ne pensa di quello che sta succendo?
Guardi, già un anno fa dissi all’allora ministro dell’Ambiente Corrado Clini che il gruppo sarebbe entrato in crisi non tanto per le questioni ambientali di per sé, quanto per le interferenze di ministeri, giudici, e di quanti si appassionano a rovinare le condizioni economiche-finanziarie di un’impresa.
Lei ritiene che non vi siano colpe da parte dei Riva?
Tutt’altro. Non sono un innocentista. Affermo soltanto che le imprese, se “bombardate” da interferenze, fanno necessariamente una brutta fine.
C’era modo di far rispettare le regole senza interferire sull’attività dell’azienda?
Tale questione è il nodo centrale di tutta la vicenda. Per risponderle, rigiro la domanda: quando Clini inziò a occuparsene da ministro, da quanti anni se ne stava occupando da direttore generale del ministero? Ovvero, per quanti anni tutti sapevano ma nessuno ha fatto niente, lasciando che la questione ambientale si incancrenisse? C’è da chiedersi, quindi, se esistano strumenti atti a comminare le sanzioni senza distruggere le attività produttive.
Quindi, qual è la risposta?
Quando uno Stato è troppo invadente, e quando le leggi proliferano a dismisura, gli organismi preposti non sono in grado di effettuare i controlli essenziali per far rispettare il diritto.
Ora che sono stati esuberati 1400 dipendenti, cosa accadrà?
Anzitutto, l’operazione più naturale sarà quella di estendere il commissariamento di Bondi. Attualmente, è commissario dell’Ilva. Lo diventerà di tutto il gruppo Riva. Cosa che, tutto sommato, mi lascia perplesso. Ad oggi, ancora non è chiaro quali effetti concreti abbia sortito la sua azione. Detto questo, non vedo alternativa per porre rimedio alla situazione se non quella di conferire al commissario anche l’esercizio d’impresa. Un termine giuridico che, in sostanza, gli dà l’autorizzazione a gestire realmente l’azienda.
E i 1400 esuberi?
Il commissario con esercizio d’impresa ha il potere di farli rientrare, nella misura in cui questo sia economicamente compatibile con una gestione efficiente.
I 1400 esuberi, tuttavia, erano dipendenti attivi di numerosi stabilimenti. Considerando gli impianti già fermi da tempo, cosa ne sarà dell’Ilva?
La questione è drammatica. Ho fatto il commissario straordinario per tre volte e so per esperienza che un’industria di queste dimensioni è paragonabile a un organismo vitale. In tal senso, occorre capire quanto il cuore può restare fermo senza che questo provochi danni irreversibili alle altre parti. Rispetto all’Ilva, tuttavia, può saperlo solo chi se ne sta occupando sul campo.
E’ legittimo sospettare che la proprietà abbia effettuato questa operazioni con dei fini non del tutto trasparenti?
Non ho mai conosciuto, ne ho particolare simpatia per la proprietà. Di certo, le condizioni economiche e patrimoniali della società non erano male. E il gruppo Riva, gli investimenti, li aveva fatti.
Le condizioni dell’Ilva in che misura incidono sul nostro tessuto produttivo?
Incidono moltissimo. Occorre una premessa: la crisi,in Italia, è iniziata quando gli imprenditori hanno capito che l’euro impediva le svalutazioni competitive. Lo hanno capito con due anni di ritardo dalla sua introduzione. Una piccola percentuale di essi, ha iniziato a ristrutturarsi, internazionalizzandosi. L’aggiustamento è stato fatto tra il 2004 e il 2008. Poi, è arrivata la crisi: anche molti di quelli che stavano internazionalizzando si sono dovuti fermare. Le imprese che hanno centrato l’obiettivo, sono diventate, rispetto alle altre, molto più redditizie e innovative.
E l’Ilva?
Ecco, in un tale contesto, la scommessa per la nostra intera manifattura è che riesca a riprendere il processo di espansione dei propri confini. Un’azienda come l’Ilva, che per dimensioni rappresenta il baluardo della siderurgia italiana, versando in questo stato difficilmente riuscirà a internazionalizzarsi, determinando così un danno enorme.
(Paolo Nessi)