Ciascuno di noi viene ricordato per alcuni tratti caratterizzanti. Molto probabilmente, il Commissario europeo Olli Rehn resterà negli annali dell’Unione europea per la banalità delle sue lettere e delle sue dichiarazioni. Nel 2011, una sua lettera piuttosto banale sulla necessità di tenere ben salde le redini della spesa pubblica in Italia ha innescato conseguenze di ogni genere: aumento dello spread, fibrillazioni politiche, cambiamento di esecutivo e altri eventi che hanno principalmente portato acqua al mulino del M5S. Venerdì 13 settembre data che in certe parti d’Italia viene considerata infausta – in quel di Vilnius, in Lituania, Rehn ha pontificato per dire che se non c’è stabilità politica gli obiettivi di aggiustamento di bilancio rischiano di non essere raggiunti. Frase banale, perché tutti ne sono consapevoli: la maggiore forza del Governo Letta risiede proprio nel timore degli effetti (prevedibili) dell’instabilità politica sui conti pubblici.
L’ultimo Bollettino della Banca centrale europea e le più recenti previsioni Ocse (nonché le anticipazioni di quelle del Fondo monetario internazionale) affermano che, solo per un soffio, l’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni resterà al di sotto del 3% del Pil (parametro che ha ormai viene considerato un dogma). Da economista, sono preoccupato non tanto di un eventuale piccolo “sforamento”, ma del pericolo che le misure per evitarlo smorzino i timidi e fragili cenni di uscita da una recessione che ha fatto perdere il 10% del Pil e minaccia a un’intera generazione la disoccupazione permanente, interrotta da periodi di precariato.
Questo è ciò che dovrebbe angosciare il Signor Rehn, non le banalità pronunciate con il suo sempre gioviale faccione sorridente. In effetti, se per restare ora con un disavanzo inferiore al 3% del Pil e raggiungere tra uno o due anni il pareggio di bilancio si va verso nuovi inasprimenti tributari, c’è un’alta probabilità di andare sempre più a fondo.
Una spending review mal concepita aggrava tale prospettiva. Si parla di un’operazione straordinaria (come quelle del recente passato) affidate a commissari straordinari e task force precarie e provvisorie, senza tenere conto che le esperienze del passato (anche recenti) non promettono nulla di buono. Le esperienze di successo attuate all’estero hanno attribuito, con grande chiarezza, la funzione (e la responsabilità) a un corpo dello Stato e hanno resa la revisione della spesa non un episodio straordinario (e occasionale), ma un compito permanente.
Ad esempio, la normativa americana in materia è l’unica legge approvata durante il primo mandato Reagan (ossia più di trent’anni fa) mai modificata da allora (poiché consegue buoni risultati). Il programma di razionalizzazione delle scelte di bilancio, attuato come misura straordinaria in Francia nella seconda metà degli anni Ottanta, è diventato competenza del ministero del Tesoro d’Oltralpe, che guida e coordina il resto dell’amministrazione. Si può ipotizzare una task force per l’individuazione rapida della spesa improduttiva e la sua eliminazione nel contesto dell’ormai imminente legge di stabilità, ma si deve collocare il disegno in un quadro permanente. La Ragioneria Generale dello Stato ha tutte le caratteristiche per essere l’istituzione su cui puntare, anche a ragione del ringiovanimento e migliore professionalizzazione della sua dirigenza.
Andiamo a cosa potrebbe essere fatto nell’immediato, ossia con il disegno di legge di stabilità che il Consiglio dei Ministri deve approvare entro il 15 ottobre. Esiste già una traccia per il lavoro dell’eventuale task force. Nella sua ultima analisi della spesa pubblica, la Corte dei Conti ha stimato la spesa improduttiva al 4-5% degli 800 miliardi di spese annuali delle pubbliche amministrazione e ha fornito alcune indicazioni. Mario Monti, nella veste di Presidente del Consiglio, ha menzionato il 10%, ma non ha indicato stime specifiche. Da uno studio della Confcommercio si ricava che se la spesa per gli organi legislativi ed esecutivi (e attività “speciali” come la rete di ambasciate) fosse parametrizzata sugli standard della Germania (la cui popolazione è quasi il doppio della nostra) si risparmierebbero 8 miliardi l’anno, mentre se su quelli della Francia (la cui popolazione è simile alla nostra), se ne risparmierebbero 16: ecco dove trovare subito le coperture per Imu e Iva. Per il cuneo fiscale, basta portare il numero di funzionari pubblici per dirigente alla media tedesca per risparmiare 3 miliardi l’anno; se si recepiscono, nel disegno di legge di stabilità, gli otto articoli del Rapporto Giavazzi, si riducono di 10 miliardi l’anno gli incentivi alle imprese (dato che si da in cambio un fisco più leggero, operando sia sul cuneo che sull’Iva).
Unicamente queste voci comportano per il 2014 risparmi di spesa per circa 20 miliardi. Altri emergono da un esame più dettagliato che gli organi preposti possono fare in poche ore. Ad esempio, una tantum di 25 milioni si può trovare modificando in crediti fiscali e matching grants(ossia il contributo statale si allinea su quello privato) i nuovi sussidi a teatri ed enti in un dissesto ormai cronico: se i contributi pubblici al Festival di Salisburgo coprono il 25% del budget, non si vede perché da noi arrivino al 90%, nonostante la produttività sia quasi un terzo della media europea.
Se il Governo Letta intende davvero ridurre la spesa (e il carico fiscale), il catalogo è questo – si potrebbe dire come Leporello a Donna Elvira nel mozartiano Don Giovanni. Attenzione; è un catalogominimo a cui molte altre voci possono (anzi debbono) essere aggiunte.